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MEMORIA STORICO-GIURIDICA IN DIFESA DEL COMUNE DI RIVA LIGURE (4-1)


  Cap. 4/1
 

Capitolo 4 parte 1

Abbiamo visto, nel secondo capitolo, che il territorio compreso fra l'acqua di Civezza e il fiume Armeria, costituiva la Villaregia, ridottasi, poi, dall'Armeria all'acqua di Taggia. Colla scorta di molti documenti, notizie storiche e giudizi di autori gravissimi, abbiamo dimostrato come, in questo territorio, che si stendeva dall'acqua di Civezza, alla sponda sinistra del fiume Taggia, l'omonima comunità, sino al 1228, soggetta ai marchesi di Clavesana, non avesse alcun diritto, né giurisdizione di sorta.
Cosicché, quando Taggia, in un cogli altri castri e ville, nel 1228, entrò a far parte della grande famiglia repubblicana genovese, essa aveva un territorio limitato, che, sia dalla sponda destra, come dalla sponda sinistra, della Taggia, non giungeva al mare, confinando a mezzogiorno, rispettivamente, coi territori di Arma e Riva, i quali lambivano, l'uno la sponda destra, l'altro la sponda sinistra, del detto fiume.
Riva fu, pure, attratta nell'orbita di Taggia e, ad essa, si unì.
Tale unione non partorì buoni frutti, poiché la storia di essa è una continua successione di proteste, di liti, di sentenze, conseguenza del mal governo e del sistem di oppressione, pur troppo, messo in opera dalla comunità di Taggia, verso la piccola Riva.
Dopo varie pronunzie, intervenne la sentenza del 10 febbraio 1492, proferita da Agostino Guidobono, vicario ducale, Enrico di Camilla e Melchiorre di Negro, colla quale, fra le altre cose, si decretò:
1. Che gli uomini di Taggia osservassero ed eseguissero il precedente provvedimento di Bartolomeo Doria, di cui ne' rogiti di Gerolamo Carrega.
2. Che quei di Riva avessero di nove voci, una, nel parlamento di Taggia e si fissò la partecipazione di Riva, nel patrimonio comune, in un'ottava e mezza parte.
3. Che ciascuno dei due paesi usufruisse delle bandite, che erano, rispettivamente, in possesso di essi.
4. I campi e prati tanto silvestri che domestici, comuni ai due paesi, tali dovessero rimanere, sia per l'usufrutto, ohe per la proprietà.
Si diedero pure altre disposizioni, per la gabella del macello e per i letami e concimi che si raccoglievano nei luoghi pubblici, pei quali, si decretò che ciascuno raccogliesse i propri.
Questa sentenza fu notificata, d'ordine di Andrea Fieschi, podestà di Taggia, ai consoli di essa, il 27 febbraio 1492.
Mezzo secolo dopo, avvenne la prima separazione. Con sentenza delli 17 marzo 1551, dei commissari Tomaso Defranchi e Leone Negrone, delegati dalla repubblica genovese, Riva fu staccata da Taggia.
Questa sentenza è ricca d'insegnamenti e, se ben si esamina, è disastrosa per Taggia.
Risulta, da essa, che il territorio dovea dividersi, allo scopo di attribuire a Riva, un'ottava e mezza parte di esso, ad bonitatem non ad mensuram, come era stato deciso, con sentenza del 1548, dei magnifici Nicolò Cattaneo Pietra e Davide Promontorio, accettata dalle parti, ed, in tal misura, ripartirsi i debiti.
Il territorio assegnato a Riva, è così specificato.
Di sopra, cioè a nord: terra illorum de castellario et in parte territorium... remanens dictis tabiensibus videlicet terra Io Francisci Ardissoni mediante vallone sancti Martini, tendentem per rectam lineam terris de Castellario et de Tabia.
Di sotto, cioè a sud: Domus illorum de ripa et litus maris.
Ab uno latere, cioè a levante: il territorio di S. Stefano e di Pompeiana, per mezzo del fossato.
Ab alio latere e, cioè, a ponente: flumen.
Tralasciamo di occuparci della porzione dei boschi, assegnata a Riva, del terreno Lona e via dicendo e ci fermiamo su questa divisione.
Risulta, dalle precedenti sentenze, accettate dalle parti, che Riva aveva diritto ad un'ottava e mezza parte di tutto il territorio di Taggia ed i due commissari di altro non doveano curarsi, che di farlo peritare, per poi, addivenire all'assegnazione di tale quota. E la quota fu stimata da due tecnici, cioè Battista Palmieri di S. Remo e Domenico Noaro di Porto Maurizio, eletti di comune accordo, fra le parti, e con intervento di molte altre persone: « Quod territorium predictum per inspectionem per nos factam totius territorii oculata fide ac etiam per relationem bonorum virorum Baptistae Palmerii de Sancto Romulo et Dominici Noari de Porto Mauritio electorum per nos et partium voluntate ad revisionem dicti territorii et in hoc negotio multum expertos: ... et per nos diligenter et oculata fide viso dicto territorio cognovimus et cognoscimus esse octavum unum cum dimidio totius territorii una cum alio territorio inferius assignando.
Questa sentenza fu accettata e messa in esecuzione ed il Fossati, pur lamentandosene, non lo contesta, segno evidente che, allora, Taggia riconobbe che l'assegnazione era equa e rispondente ai diritti di Riva e non lesiva dei propri.
Pochi mesi dopo, il pirata Dragut, saccheggiava e bruciava la povera Riva, traendone prigione la maggior parte degli abitanti.
Riva desolata, ridotta allo stremo, dovette subire di nuovo il giogo e ritornare sotto la dominazione di Taggia.
L'avv. Fossati mette in evidenza le frasi, di sottomissione e di pentimento, da parte di Riva.
Anche gli oppressi e vinti Lombardi dovettero sottomettersi e presentarsi, colla corda al collo a chieder perdono e misericordia, a Federico Barbarossa, ma quelle umiliazioni partorirono il carroccio e Legnano.
Non si dee pretermettere, giunti a questo punto, una breve osservazione, circa il patto speciale, convenuto, dopo la riunione, a riguardo dei fima seu letamimi, ricordato dal Fossati. Fu pattuito che appartenessero a Riva, quelli che si raccoglievano « a capite Sancti Siri usgue ad fossatum Sancte Caterine ».
Se si pensa che Riva era umiliata, disfatta, assolutamente impotente, tale patto è argomento grave contro Taggia. Secondo Taggia, Riva non avrebbe dovuto raccogliere i concimi, che dal rivo Pertuso a quello di S. Caterina, eppure si concedette a Riva, di spingersi sino al capo S. Siro, che, quattro secoli or sono, come riconosce il Fossati, in altra parte del suo lavoro, era vicinissimo al fiume, il quale, più tardi, piegò il suo corso verso ponente. Cosicché, venne assegnata, a Riva, tutta la vasta regione fra il Pertuso e S. Siro e, certo, ciò non avvenne per un sentimento di generosità, da parte di Taggia.
La memoria, in difesa di Taggia, a tal riguardo, obbietta che il capo S. Siro, ha un largo dorso che comincia al Pertuso; potevasi anche, dire, e con ugual fondamento, che il capo S. Siro deriva dal Monte Bianco o dal Gran Sasso d'Italia, certo è che la vasta zona, fra il Pertuso e il capo Don, i monti ed il mare, fu assegnata a Riva e quando questa, non aveva, pur troppo, os ad loquendum.
Taggia non rinsavì e continuò nei suoi sistemi di oppressione, pur troppo accertati dalla relazione del commissario generale di S. Remo, che noi abbiamo rinvenuta, nell'archivio di Stato in Genova, e che è trascritta nei documenti.
Donde nuove liti e tentativi, da parte degli abitanti di Riva, per separarsi da Taggia.
È eloquente, nella sua rude semplicità, la deliberazione del parlamento di Riva, del 5 agosto 1722, colla quale si iniziò, nuovamente, la pratica per la separazione. In essa si legge: «... signori riconoscendosi... oramai tanto chiaro il danno che soffre la nostra Università dalli Agenti o sia Anziani della Comunità di Taggia, per il pessimo ordine e regolamento che da molti anni si prova sarebbe proprio per ovviare tanto danno considerevole... per liberarsi una volta da questa catena far procuratore per dividersi dalla Comunità di Taggia... a fine di non sempre esclamare pauperi petierunt panem ».
Se, allora, Riva non potè ottenere la chiesta divisione ciò valse a tener viva l'agitazione, finché, verso in metà del secolo decimottavo, la Repubblica incaricò Giuseppe Maria Doria, commissario generale a S. Remo, di esaminare l'istanze degli uomini di Riva e di riferire al Senato. La relazione, del Doria, porta la data del 5 marzo 1753 ed è una vera requisitoria circa il modo con cui, da parte di Taggia, veniva oppresso l'infelice paese di Riva.
Questa relazione fu presentata ai Serenissimi Collegi il 12 successivo, i quali deliberarono come segue:
« Letta ai Ser.mi Collegi sudetta Relazione discorso ecc.
Proposto che sia in sentimento di consultare il Ser.mo Senato per deliberare la divisione delle due comunità della Riva e Taggia sotto quelli modi e forme al Prefato Ser.mo Senato ben viste.
Latis calculis propositio approbata remansit omnibus in vigesimo numero favorabilibus uno tamen excepto
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MOX

Coerentemente al detto consulto dei Ser.mi Collegi si delibera la divisione della Comunità della Rica da quella di Taggia con quel metodo, divise e regolamenti che si dichiareranno in appresso... per Ser.mum Senatum ad calculos omnibus in duodecimo numero favorabilibus uno tamen excepto.

ILLICO

Si rinnova il suddetto decreto colla clausola vel non per Ser.mum Senatum ad calculos omnibus in dicto numero favorabilibus.
Giambattista

II documento esige un breve esame. Come si vede, questo è il vero decreto, che separò Riva da Taggia, non la sentenza, o, per dir meglio, la relazione del 1755, di Giacomo Lomellino.
I due comuni furono separati col decreto delli 12 marzo 1753, decreto emanato, con tutte le solennità di legge e colla speciale clausola vel non, la più assoluta ed imperativa che vantasse il rigido formalismo del tempo; restava a farsi il regolamento, per l'applicazione di tale legge. La compilazione, di tali norme regolamentari, fu affidata agli Ecc.mi residenti nel Real Palazzo e, quindi, ristretta nel commissario generale Giacomo Lomellino, che, allora, trovavasi a Porto Maurizio.
Dunque la divisione ebbe luogo e fu mandata ad effetto, tanto è vero che il Lomellino presentò la sua relazione. Ma procediamo con ordine. In seguito al decreto di divisione ed all'incarico, dato al Lomellino, Taggia nominò il 1 luglio 1753 suo procuratore Filippo Boeri e Riva elesse il prete Agostino Filippi.
E che, nel 1753, già fosse fatta, in massima, la separazione appare dalla supplica del 3 luglio dli quell'anno, che contiene l'esposizione delle violenze, commesse da quei di Taggia, contro gli uomini della Riva, a causa dell'ottenuta divisione, col pedissequo decreto del Senato, che ordina al podestà di Taggia, di procedere contro i colpevoli.

Ser.mi Signori

Atesa la sentenza di divisione ottenuta nei mesi trascorsi dal luogo della Riva contro la comunità di Taggia sono tali e tanti li insulti, contrarietà e ingiustizie vengono fatte dalli uomini di Taggia a quei della Riva che ormai ritrovansi essi in istato di abbandonar le lor campagne quali le vengono tutto il giorno devastate ecc.
E risulta, pure, da altra supplica delli 8 maggio 1753, unita alla relazioue del Doria e pedissequa al decreto senatorio.

Riva di Taggia - Da quei sindici

Nl vedere V.V. S.S. Ser.me il luogo della Riva ingiustamente oppresso da quelli di Taggia si son degnate con loro veneratissimo decreto del 12 del scaduto marzo ordinarne la divisione ed in seguito alla medesima doppo d'haverne commissionati a riferire gli Ecc.mi allora residenti nel real Palazzo l'ha ristretta l'Ecc.mo Senato nell'Ecc.mo Giacomo Lomellino ecc.
Ordinata la divisione, Riva fu costituita, subito, in comunità a sé, autonoma ed indipendente ed i sindaci ricorsero il 25 maggio 1753, proponendo una serie di capitoli, per il buon governo della nuova comunità.
È pregio, di questa memoria, riferirne il primo che, per il nostro assunto, è eloquentissimo.
« Primo: essere necessario che l'Ill.mo Sig. Commissario Generale di S. Remo formasse per questa prima volta il parlamento della M.ca detta Comunità della Riva in numero di 40 delle più vecchi e più sensati (1) ».
È chiaro tutto ciò?
Il Senato, il 28 maggio, accolse l'istanza, rimettendo la supplica al Lomellino.
Questi capitoli governarono il comune di Riva sino al 1788, nel quale anno, se ne sostituirono altri.
Né, a ciò, si limitarono i primi effetti del decreto di divisione, poiché, pur stando in attesa della relazione Lomellino, il Senato emise altri provvedimenti.
Con lettera e decreto dell'8 luglio 1754, diretto al podestà di Taggia, si concedeva, alla nuova comunità di Riva, la gabella dell'estrazione da esigersi sulla spiaggia di Riva, da confini del luogo di S. Stefano a tutto il letto della fiumana di Taggia inclusivamente per anni quattro e le gabelle della panatteria del fondaco, del macello e della pesca, nella detta fiumana.
Queste concessioni furono poi sempre rinnovate e, nel 1779, nacquero, anzi, divergenze a riguardo di esse. Gioverà trascrivere una parte della lettera delli 9 marzo di detto anno, del podestà di Taggia, Ippolito Antonio Ricci, diretta al magistrato delle Comunità.
«... i capitoli municipali di Taggia del 1675 che dovendosi traghettare da un luogo all'altro di questa giurisdizione mercanzie soggette a d.a gabella non possa eseguirsi senza il dovuto spaccio del gabelotto pro tempore come da d.i Cap.li c. 62. § 3. da me riconosciuti, ciò non ostante non essere al presente a proposito le doglianze di d.i M.ci Sindaci... mentre nel tempo cui furono fatti li cap.li Sud.i non v'era che un gabelotto quale esigeva indistintamente la detta gabella in tutta la giurisdizione compreso il luogo della Riva... essendosi però del 1753 divisa la d.a gabella dell'estrazione per ordine dei due Ecc.mi di Palazzo Commissionati dal Ser.o Senato e cominciato in detto anno a vendersi separatamente a quella di Taggia in d.o luogo della Riva, come appare da libri dell'introiti di questa comunità... da d.o tempo in appresso e tanto li gabellotti della Riva quanto quelli di Taggia hanno in seguito indistintamente esatta nel loro riparto la gabella delle mercanzie... » (2)
Con decreto del 3 settembre 1789, si prorogò tale facoltà alla Comunità della Kiva per altro quinquennio (3).
Inoltre, nel citato provvedimento del luglio 1754, il Senato assegnò alla Riva « l'affitto delle Strade e delle Bandite ossia Pascoli... dal colle del Gattino esso compreso sino al mare ».
Mettendo in relazione questo decreto, colla sentenza, già citata, del 1492, colla quale si dichiaravano proprie di Riva le bandite e pascoli, che erano in possesso di essa, appare manifesto, come la regione dei Gattini (si ricordi che la strada dei Gattini è quella che il comm. Rossi indicò come confine) appartenesse all'università della Riva.
Nel 1755, dopo avere sentito i procuratori dei due paesi, il Lomellino presentò la sua relazione.
È pregio di questa esposizione, stralciarne una parte importante e riferirla integralmente.
Il Lomellino premette: « per realizzare la divisione delle due Comunità della Riva e Taggia da V.V. S.S. Ser.me decretata sino dal 12 marzo 1753, coerentemente al consulto de' Serenissimi Collegi di detto giorno, si compiacquero V.V. S.S. Ser.me, con altro venerato decreto del 27 successivo aprile, di rimettere all'Ecc.mo Giacomo Lomellino... affinché dovesse riferire quali divise, regolamenti e metodi sia luogo a dichiararsi in rapporto alla divisione suddetta ».
Dunque, lo ripetiamo a sazietà, la divisione fu ordinata ed effettuata sino dal 1753, nel 1755 il Lomellino presentò il generale regolamento che doveva servir di norma, per i nuovi rapporti, creati fra i due paesi, in seguito al loro distacco.
Prosegue il Lomellino: « In adempimento pertanto del veneratissimo incarico avendo la prefata Eccellenza sua intrapeso l'esame di detta pratica coll'opera eziandio del suddetto M. Consultore non meno durante il loro soggiorno nel Porto Maurizio che lungamente dopo il loro ritorno per mezzo di replicati contraditorii, informazioni ed allegazioni di ragioni e scritture prodotti dalli rispettivi sindaci e rappresentanti delle due Comunità e segnatamente fattosi presente la relazione del detto Ecc.mo Doria e gli antichi documenti in essa annunziati cioè la relazione fatta al Senato fino dall'8 ottobre 1549... altresì la successiva sentenza de' M. M. Tomaso Defranchi e Leone Negrone... per l'esecuzione della divisione medesima all'anno 1551 ».
« Quindi fattasi sopra tutto ciò la più seria applicazione ed avutosi eziandio il particolare riguardo di ridurre lo stato dell'antica divisione ad un metodo in qualche parte più atto a togliere qualunque sorgente di possibile controversie in avvenire è venuta in sentimento la prefata Eccellenza di rapportare... I. Che a norma dell'antica divisione in questa parte così accordata fra le parti debbasi dichiarare partecipare la comunità della Riva per una ottava e mezza parte tanto rispetto al territorio quanto rispetto alli debiti e crediti... ed in coerenza di detta partecipazione assegnarsi alla Riva quella stessa parte di territorio che in detta divisione antica fu alla stessa dichiarata sotto li confini: dissopra (cioè a nord) li confini del Castellaro ed in parte il restante territorio assegnato alla comunità di Taggia, mediante il vallone di S. Martino fino alla terra stata già del q. Gio Francesco Ardissoni e la terra del M. Domenico Pastorelli, essa terra esclusa, disotto (sud) il mare, da un lato (est) il territorio di S. Stefano e quello di Pompeiana... ecc. e da l'altro lato (ovest) il fiume. Alli quali confini espressi nell'antica divisione, può ragionevolmente aggiungersi il letto del fiume suddetto dalla foce del mare sino a tutta la strada romana ».
Dunque era pacifico fra le parti che Riva avea diritto a 1|8 e 1|2 parte di tutto il territorio di Taggia. Questa quota, nel 1551, fu calcolata e accettata d'accordo nel territorio, compreso fra i confini indicati in quella divisione. Nel 1755, il Lomellino accertò che tale territorio rispondeva, pure, a tale quota, malgrado le osservazioni di Taggia, che allegava avere i beni mutato assai nel loro valore.
Il Lomellino riscontrò il cadastro di Taggia e riconobbe che tale variazione era insignificante e mantenne l'antica divisione, togliendo, però, alla Riva, tutta la parte del territorio dell'Arma, assegnatole nel 1551, allo scopo di avere, fra i due comuni, un confine certo e preciso, cioè il fiume Argentina e per dare un compenso a Taggia e togliere ogni pretesto di discordia.
« In virtù di tale contradizione ha stimato il prefato Eccellentissimo Commissionato di accertare maggiormente la proporzione di detto riparto con passare a riconoscere il Pubblico Catastro della Comunità di Taggia per appurare se realmente esistesse l'eccesso che si è allegato per parte della Comunità di Taggia, rispetto al territorio circoscritto dagli accennati confini oltre la ottava e mezza parte spettante alla Riva, colla quale esperienza essendo constatato ridursi il preteso eccesso ad una partita di poche migliaia di lire capaci di produrre annue lire 16 in circa per ogni migliaio è riuscito perciò inevitabile attenersi alli detti limiti antichi... tanto più... per essere dovuto un qualche maggior compenso alla Comunità della Riva per l'adeguazione della sua tangente degli introiti delle Gabelle, nella quale va ad essere molto inferiore... siccome per la sua tangente del territorio e spiaggia dell'Alma, che per evitare un irregolare intralciamento di confini... resta interamente assegnato alla Comunità di Taggia ».
Di fronte, quindi, al fatto che le parti, da secoli, erano state concordi, nel riconoscere che Riva dovea avere un'ottava e mezza parte di tutto il territorio di Taggia, che tale parte di territorio fu, nel 1551, estimata e determinata da periti di comune fiducia, che tale assegnazione e divisione fu accettata che, nel 1755, si riconobbe che tale porzione di territorio, corrispondeva salva la leggera variante, a tale quota e, perciò, fu, nuovamente assegnata a Riva, appare assolutamente enorme la pretesa di Taggia, di voler, come confine, il rivo Pertuso, che è situato a poca distanza da Riva, la quale, in tale ipotesi, verrebbe ad avere un territorio, che non corrisponde, nonché all'ottava e mezza, nemmeno alla trentesima parte dell'antico territorio di Taggia.
La relazione Lomellino fu approvata il 7 febbraio 1755 e l'esecuzione ne fu commessa al magistrato delle comunità.
Abbiamo visto che la divisione, fra i due comuni, fu ordinata nel 1753, che il Senato, anche prima della relazione Lomellino, aveva già, in parte, provveduto a quanto era più urgente, or vedremo come anche la relazione Lomellino, abbia avuto, per quanto fu possibile, esecuzione.
I sindaci di Riva, nel maggio 1755, ricorsero al magistrato delle Comunità, chiedendo che, in esecuzione della relazione Lomellino, fosse assegnato un termine perentorio alla Comunità di Taggia, per formare il calcolo delli debiti fatti in comune... per assegnare proporzionatamente la loro tangente alle dette due comunità. Con decreto del 25 maggio fu mandato a notificarsi l'istanza, al procuratore di Taggia, il quale, comparso, non si sognò di dire che la relazione Lomellino non era approvata, che non dovea aver corso, od altro, ma si limitò ad eccepire la nullità della citazione, iniziando così causa, unicamente sul terreno della procedura. Ciò, però, non impedì che la relazione Lomellino, con lettera del Magistrato suddetto, fosse trasmessa, al podestà di Taggia, per l'opportuna esecuzione, come appare dal relativo documento. Ed, anzi, per sollecitare vieppiù, la definizione di quanto era stato proposto dal Lomellino ed approvato dal Senato, il Magistrato delle Comunità, mandò ordine al podestà di Taggia, di consigliare le due comunità di procedere ad un taglio di roveri, per estinguere parte dei debiti, in proporzione della quota fissata dal Lomellino. Ed ecco la risposta del podestà, Francesco Maria Spinola, per quanto concerne Riva, in data 18 luglio 1758.
« Per l'intiero adempimento degli ordini di V. S. V. S. Ill.me de 27 decorso giugno mi sono portato domenica scorsa nel luogo della Riva e colà radunato il Parlamento ho loro comunicato quanto V. S. V. S. Ill.me si sono degnate loro progettare circa il liberare la loro Comunità e quella di Taggia colla vendita ai creditori di qualche quantità di alberi di rovere ecc. ».
Il parlamento di Riva approvò la proposta con 33 voti favorevoli e 5 contrari ed è, anzi, opportuno trascrivere quanto esposero, in quella radunanza, i sindaci:
« Sig.ri. Haveranno inteso dalla lettera del Magistrato Ill.mo sopra gli affari delle Comunità circa il doversi vendere tante roveri per pagare la nostra tangente parte di debiti secondo obbligati per la nostra ottava e mezza parte ecc. » (4).
Certo che, da parte di Taggia, si creavano, ad ogni piè sospinto, ostacoli per tirare le cose in lungo ed impedire il totale esaurimento di quanto era prescritto nella relazione Lomellino. Onde vediamo, nel 1762, 2 maggio, eleggersi dai sinduci di Riva un procuratore per reclamare da Taggia la consegna del cadastro per la parte spettante alla Riva « e presentare ogni e qualunque istanza e suppliche occorrenti e spettanti alla dichiara et esecutione della divisione già seguita tra la suddetta Comunità della Riva e quella di Taggia... et instare e procurare che venghi fatto e formato il distaglio a parte e distinto e separato da quello di Taggia... item a domandare copia autentica del registro ossia cadastro... per la parte spettante alla Comunità della Riva, et anche la copia di tutti gli altri particolari che possiedono beni o terre entro a li confini del territorio stato assegnato alla suddetta comunità della Riva come da detta divisione ».
Dunque la divisione era già effettuata e nella maggior parte, dei suoi particolari regolamenti, mandata ad effetto; ne è, altresì, prova evidente il funzionamento dei magistrati di Riva, come comunità a sé, distinta, i molti atti del parlamento, che sono uniti ai documenti, l'imposizione di nuove gabelle, tutte cose inesplicabili se Riva fosse rimasta soggetta a Taggia ed, anzi, taluni di questi atti di piena, assoluta ed indipendente giurisdizione avvennero dietro invito, eccitamento e coll'intervento del podestà di Taggia.
Il memoriale, dell'avv. Fossati, ricorda il Vinzoni; se si fosse letta la sua opera « Indice delle Citta, Borghi e Castelli ecc. della Repubblica di Genova » si avrebbe avuta un'altra prova della seguita divisione (5). Il Vinzoni scrisse, nel 1767, ed egli, descrivendo la podestaria di Taggia, ricorda le terre, unite ad essa, cioè Pompeiana, Arma ecc., ma, al riguardo di Riva, dice che essa è comunità distinta da quella di Taggia. Che, anzi, in vari atti, posteriori al 1755, e cioè in una supplica 20 aprile 1758, in altra delli 9 novembre 1790 ecc., Riva viene, persino, chiamata Riva di Ponente, tanto abisso di odio avea scavato, fra i due paesi, il mal governo di Taggia (6).
Nel 1771, come appare dalla deliberazione del 4 luglio, Riva, che per la condotta medica, era rimasta in Consorzio con Taggia, se ne sciolse e provvide, da sé a tale pubblico servizio. Da un certificato di Giovanni Bonanato, notaro e cancelliere della comunità di Riva di Ponente, appare come nel 1793, essendo rimasto vacante il posto di medico e di chirurgo, furono nominati dal parlamento, a medico, Giacomo Cotta, ed a chirurgo, Gerolamo Bonanati, il primo con lo stipendio di L. 350, l'altro, di L. 200. (7).
Nello stesso anno 1793, il magistrato delle Comunità, in seguito a questioni insorte, volle modificare i capitoli che governavano Riva, approvati nel 1788, in sostituzione di quelli, per la prima volta, come vedemmo, accordati nel 1753, e perciò ne scrisse al podestà come segue:

M. M.co Podestà

A tenore dei capitoli della Comunità della Riva stati comprovati li 20 9.bre 1788 resta fissato il parlamento nel n. 12 soggetti unitamente alli due sindaci con tutte le facoltà competenti ecc.
E sembrandoci in oggi troppo ristretto il n.° de Parlamentari... siamo venuti in sentimento di incaricare V. S. a dare gli ordini perché sia radunato tutto quel general parlamento della Riva e sia quindi proposto di ampliar il n.° de Parlamentari ecc. Venendo detta propositione approvata sarà contento rimetterla al Mag.to nostro per la nostra comprovazione ecc.
C.a Ant. Bracelli Deputato.

Il 22 luglio 1793 il podestà rispose che il parlamento di Riva avea respinto la proposta (8).
A tutto ciò, si aggiungano gli atti privati, dai quali appare come, effettivamente, sia stato assegnato a Riva il territorio di cui nella relazione Lomellino. È inutile ricordarli tutti, ci limitiamo alla supplica di Maria Alavena, del 1765, perché nella di lei causa, intervenne sentenza del podestà di Taggia, che la mise in possesso di un terreno della regione Prai, che viene qualificata come territorio di Riva.
E con, tali cenni di fatto, riesce del tutto superflua la confutazione delle dotte teorie del Fossati, appoggiato all'autorità del cardinale De Luca. Ma l'arbitro di Taggia cita, infine, il decreto dei Ser.mi Collegi del 22 agosto 1782.


Bibliografia:

  1. Archivio di Stato in Genova. Lettere al Senato, n. 576.
  2. Archivio e luogo cit.
  3. Archivio e luogo cit.
  4. Archivio di Stato in Genova. Communitatum a Petra Ultra, n. 314.
  5. Bib. Univ. di Genova.
  6. Communitatum ecc. loc. cit. filza 313.
  7. Archivio e filza cit.
  8. Luog. cit.


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