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NOSTRA SIGNORA ANNUNZIATA DELL'ARMA (1)

Santuario dedicato alla Gran Madre di Dio Maria Santissima
Nostra Signora Annunziata dell'Arma
a cura degli Amministratori del Santuario di Bussana - 1935


  Note
 

Introduzione

A Sua Eccellenza
Monsignor Agostino Rousset
Vescovo di Ventimiglia


Nel territorio della parrocchia di Bussana, alla sua estremità orientale, collocato in un'ampia grotta incavata in un promontorio prospiciente sul mare, esiste da secoli un Santuario consacrato alla SS.ma Vergine Annunziata, in antico oggetto di grande venerazione presso le popolazioni della Riviera Ligure Occidentale, oggi pressoché negletto, perché da oltre trent'anni la furia delle onde marine ha distrutto il piazzale e la strada d'accesso alla chiesa.
Nell'odierno risveglio del fervore religioso nazionale, è venuta l'ispirazione ai sottoscritti Rev.do Don Francesco Buffaria Prevosto di Bussana, Donetti Cav. Giovanni e Avv. Vincenzo Donetti, massari, amministratori dell'insigne Santuario, di ritornarlo all'antica devozione presso il popolo, mediante la ricostruzione del piazzale e della strada d'accesso, da eseguirsi con le oblazioni spontanee di tutti i fedeli.
In questo devoto intento, i sottoscritti hanno creduto conveniente, prima di tutto, ricordare al pubblico devoto di Maria SS.ma le glorie del vetusto santuario, mediante la breve monografia, redatta da uno dei massari, che reverentemente offrono in dedica alla Eccellenza Vostra Rev.ma, affinché, nella Sua patema bontà, si degni gradirla, accogliendo l'opera intrapresa dai sottoscritti sotto la Sua benevola protezione.

Bussana 20 Settembre 1935.

Gli amministratori:   F.° Don Francesco Buffaria, Prevosto,
F.° Giovanni Donetti, massaro,
F.° Avv. Vincenzo Donetti, massaro.

Nell'approvare la presente monografia e nel permetterne la stampa, la raccomandiamo a tutti i fedeli della Diocesi, con l'augurio che il Santuario di Nostra Signora Annunziata dell'Alma, in Bussana, possa ritornare nel suo antico splendore.

Ventimiglia, 24 Settembre 1935.

F.° Agostino Rousset
Vescovo di Ventimiglia.


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La Grotta

I territori di Bussana di Sanremo e di Arma di Taggia, situati sulla Riviera Ligure occidentale, sono divisi da nord a sud da un colle, chiamato dei Castelletti, la cui estrema punta rocciosa, protendentesi sul mare, per la erosione delle onde saline, ha presa la forma della testa di un enorme cetaceo, nella bocca del quale è incavata una vasta grotta. Lateralmente lo scoglio presenta due propaggini più avanzate, a strapiombo sul mare, a somiglianza delle rocce che fiancheggiano certi fiordi della nordica Scozia, descritte dall'Ariosto nell'immortale suo poema. (1)

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[ La Grotta dal mare ]

Sopra il lato destro, ossia verso Bussana, si osservano i ruderi di una torre, che faceva parte dell'attico castello romano, detta ancora oggi torre delle pernici, non già perché ivi si dassero convegno le pernici, ma perché formava il corpo più avanzato del castello, il così detto corpo di guardia, dove stavano i vigili, i quali in lingua latina si chiamavano pernices.

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[ Torre Pernices ]

Sulla propaggine sinistra del promontorio poggiava un ponte sorreggente la strada, che metteva in comunicazione la grotta con la borgata di Arma; e la sommità, soprastante alla grotta, era ed è, dominata da un forte maniero quadrilatero, con l'angolo, rivolto al mare, molto pronunziato, a perpetua minaccia degli invasori.
Questa fortezza venne costruita, sulle rovine dell'antico castello romano, nel secolo XVI, per ordine della Repubblica di Genova, in difesa dei paesi circostanti, contro le invasioni dei Saraceni, a spese dei comuni di Bussana e Taggia.

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[ Veduta dal mare ]

Tutto l'insieme della località presenta quell'aspetto suggestivo ed impressionante, che i romantici chiamano orrido bello, e dovrebbe costituire una mèta favorita alla curiosità dei turisti e dei molti forestieri, che svernano annualmente a Sanremo; ma è poco conosciuto, perché non ha finora trovato protezione presso quella dèa prodigiosa, che i moderni chiamano la moda.
La grotta, a differenza delle grotte dei Balzi Rossi, che sono alte e strette, perché formate dai crepacci delle rocce, è ampia e bassa.
Essa è divisa in due parti: una parte anteriore, prospiciente sul mare, alta circa cinque metri e misurante circa cento quaranta metri quadrati di superficie, accoglie nel suo seno il Santuario della SS.ma Vergine Annunziata; e l'altra parte, posteriore, si prolunga verso nord, formando una lunga oscura caverna.
Quest'ultima parte formò già oggetto di ricerche paleologiche, del Dottor Alessandro Lupi di Bussana e del Prof. Arturo Issel nel 1894, i quali vi trovarono ossa di animali di specie ora scomparse, armi di pietre littiche, etc. (2)
Nella grotta trovarono comodo rifugio gli antichi Liguri al primo loro affacciarsi nella storia (3). Quivi si fortificarono a difesa e vi costruirono sul soprastante promontorio uno dei loro castelli, dal quale valorosamente combatterono contro le legioni romane, guidate da Paolo Emilio e da Marco Valerio Caminate, nell'anno 181 avanti la venuta di N. S. Gesù Cristo (4). La tecnica militare dei Romani ebbe, però, la prevalenza sull'ostinato valore dei Liguri, che furono vinti. Il loro castello venne riedificato dai romani conquistatori, i quali ad eterna memoria del fatto vi sopraposero la seguente epigrafe:

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[ Epigrafe ]

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Il Santuario

Una delle prime chiese cristiane sorte nella Liguria occidentale, è certamente quella che i Bollandisti, nell'Ufficio di S. Felice, vescovo di Genova sul principio del secolo IV, attribuiscono a San Siro, da lui mandato, come coadiutore del Beato Ormisda, a predicare la religione cristiana nei nostri paesi, il quale edificò una cappella, nelle vicinanze del fiume Taggia (oggi torrente Argentina) e del lido del mare, a distanza di quattro miglia dalla villa Matuziana (attuale San Remo), dedicandola al beato Pietro principe degli Apostoli, l'anno 324 dell'Era Cristiana (5).
Queste indicazioni stabiliscono, senza possibilità di equivoco, la ubicazione della suddetta cappella nella grotta sopra descritta. Né potrebbe obbiettarsi, contrariamente, che la cappella fu da S. Siro dedicata a S. Pietro e non alla Madonna, perché la dedicazione di chiese alla Vergine Santissima avvenne piuttosto tardi, nella propagazione del Cristianesimo nella nostra riviera, mentre le prime chiese solevano dedicarsi agli Apostoli e più specialmente a S. Pietro.
Senonché il luogo, forte per natura, e maggiormente fortificato dall'arte, non potè sfuggire alla attenzione dei saraceni che, nel secolo IX, dalla loro base di Frassineto, infestavano le nostre terre, i quali se ne impadronirono e vi si fortificarono, sottoponendo a servitù le popolazioni e distruggendo tutte le abitazioni e le terre dei dintorni (6).
Questo stato miserando della nostra riviera durò fino all'anno 972, nel quale Guglielmo, conte di Provenza, coadiuvato da Arduino Glabrione, marchese di Susa e da altri signori, debellò i saraceni, cacciandoli dal loro covo di Frassineto e da tutti i paesi della riviera ligure.
Le nostre terre, così liberate, furono date in premio ad Arduino, il quale potè per tal modo estendere la sua marca fino al mare (7).
Dopo la sua morte, la marca, detta Arduinica dal suo capo stipite, nella quale era compresa la nostra riviera da Ventimiglia ad Albenga, passò successivamente al figlio Manfredo I, da questo al nipote Manfredo II, e quindi alla figlia di questi Adelaide, contessa di Torino, la quale nel 1036 fece donazione del fundus Porcianum, che si estendeva dal crinale del monte Faudo al torrente Armea e dal Monte Ceppo fino al mare, ai monaci Benedettini di Santo Stefano di Genova (8).
Questi ricostruirono i terreni abbandonati, ricostruirono i paesi distrutti dai Saraceni e riconsacrarono al culto divino la grotta, riedificandovi l'altare e dedicandolo alla Vergine Santissima sotto il titolo dell'Annunziata dell'Alma. Gli abitanti dispersi per le montagne, e coloni venuti da lontano, furono chiamati dai monaci e dal vescovo di Genova Teodolfo a ripopolare il paese (9); e la chiesa fu eretta in parrocchia, come viene storicamente accertato dall'atto di concessione delle decime fatta dal vescovo d'Albenga Oberto ad Anselmo dei Quaranta del 6 Marzo 1153 (10).
In questa chiesa, secondo l'uso invalso all'epoca dei comuni, soleva convenire la popolazione del castello di Alma per deliberare sugli affari di maggiore importanza, come avvenne il 1° Gennaio 1250, nell'occasione in cui il conte Oberto di Ventimiglia le confermava le libertà comunali, ed il 18 luglio 1260, quando essa deliberò di rinunziare spontaneamente tali sue libertà al comune di Genova, contro versamento, da parte di questo, della somma di cinquecento scudi d'oro (11).
Dieci anni più tardi, infierendo la lotta fra guelfi e ghibellini, ed avendo la fazione di questi ultimi trionfato in Genova, con la elevazione dei suoi capi Oberto Doria ed Oberto Spinola a capitani del popolo e riformatori dello stato, questi nell'ottobre del 1270 mandarono Baliano Doria nella nostra riviera, in qualità di Vicario, con potente armata, per sottomettere la fazione guelfa, diretta dai Curli e dai Grimaldi, che prevaleva a Ventimiglia.
Avendo il castello dell'Alma ospitato i guelfi, ivi rifugiatisi dopo la loro cacciata da Ventimiglia, Baliano Doria, di ritorno da questa città da lui debellata, lo investì con la sua armata e lo distrusse dalle fondamenta, disperdendone la popolazione (12).
Il Doria non potè però distruggere la chiesa, la quale continuò a funzionare per la popolazione dispersa ed in gran parte ricoveratasi nel vicino castello di Bussana, alla cui parrocchia venne aggregata.
Ciò però non fu senza contrasto della vicina parrocchia di Taggia, che pretendeva dei diritti sulla chiesa di Alma. La relativa vertenza venne decisa da Monsig. Antonio de Sismondi vescovo di Albenga, con sentenza del 22 Dicembre 1427, la quale dispose che la chiesa della Beata Vergine Maria dell'Alma apparteneva alla parrocchia di Bussana. Tale sentenza venne scolpita sopra una lapide, che si trovava murata nel corno destro dell'altare di S. Sebastiano della chiesa di Bussana vecchia, e figura nella relazione del vescovo d'Albenga Monsig. Francesco Costa, detta il Giardinello, scritta da Ambrogio Paneri, che viene testualmente riportata in fine di queste memorie (allegato A).


Note:

  1. Lodovico Ariosto - Orlando Furioso, Canto X:
    Quivi surgea nel lido estremo un sasso,
    Che avevano l'onde col picchiar frequente
    Cavo, e ridutto a guisa d'arco al basso,
    E stava sopra il mar curvo, e pendente.
  2. v. Liguria preistorica del Prof. Arturo Issel in atti della Società Ligure di Storia Patria vol. XL pag. 260.
  3. v. Luigi Schiapparelli - Le stirpi Ibero-Liguri - Torino - Paravia 1880.
  4. v. Tito Livio - libro XL pag. 340 - edizione del 1572 curata dal Sigonio.
  5. Tale cappella sarebbe stata ivi edificata da S. Siro, dopo la donazione che egli ebbe da Gallione, Esattore del Fisco, per averne liberata la figlia dal demonio, come dai Bollandisti viene narrato nel modo seguente:
    "Cum quo (Hormisda) aliquendiu commoratus, in Dei laudibus et servitio ambo persistentes, mirabilia ostenderunt super his qui infirmabantur. Inter quae Galionis Fisci Exactoris filiam beatus Sirus orationibus suis a demonio liberavit. Cui statim praefatus Gallio curtem, quae Tabia nuncupatur, devotissime obtulit, subscripta cautione, positam iuxta flumen Tabbiae et littus maris, usque ad iugum Alpium, cum massariciis et familiis utriusque sexus suo iuri pertinentibus, cum capella inibi aedificata in honorem beati Petris principis apostolorum; quae curtis distat a Matutiana, quae nunc Sancti Romuli dicitur, fere miliaria quatuor" (v. Semeria - Secoli Cristiani della Liguria - vol. I pag. 16-17, L. T. Belgrano - Illustrazione del Registro Arcivescovile, in Atti della Società Ligure di Storia Patria vol. II parte I, pag. 470).
    Non bisogna credere che gli esattori del fisco presso i romani, fossero come i nostri esattori delle imposte. Essi erano invece appaltatori di tutte le imposte di una provincia, e si chiamavano pubblicani, Erano ordinati in associazioni, e costituivano una vera potenza, alla quale dovevano inchinarsi i proconsoli delle provincie, perché da essi ricevevano il denaro necessario alla amministrazione. Al tempo di Cicerone formavano una casta detta dei Cavallieri, che aspirava alle più alte cariche dello Stato. Cicerone, pur detestandoli, consigliava il fratello Quinto a tenerseli in grazia, perché di loro poteva aver bisogno (vedi lettera n. 29 del 695 di Roma ad Quintum fratrem, nella raccolta di Ettore Romagnoli - Istituto Editoriale Italiano la Santa [Milano] vol. I pag. 161 e seg.).
    Non bisogna, quindi, credere che Gallione fosse l'esattore delle imposte di Tabbia. Esso era, invece, un pubblicano ricchissimo, padrone della corte di Tabbia, che si trovava sulla sponda sinistra del torrente Tacua (ora Argentina) vicino al mare, a distanza di quattro miglia romane ossia di 7200 metri da San Remo; e che perciò non poteva essere altro che il castello romano di Marco Aurelio Caminate che, mediante ignoti trasferimenti, era passato dalla famiglia dei Valerii al ricco Gallione, che ne aveva potuto generosamente disporre a favore di San Siro, ossia della Chiesa Genovese.
  6. v. Liber Iurium - tomo I, doc. IV, col. 7.
  7. v. Avv. Cornelio Desimoni - Sulle marche d'Italia - in Atti della Società Ligure di Storia Patria, vol. XXVIII pag. 155.
  8. v. Monumenta Historiae Patriae, tom. VI, cartarum II col. 145.
  9. v. Liber Iurium Reip. Ian, tom. I, doc. III, col. 6.
  10. v. Monumenta Historiae Patriae, tom. VI, cartarum II col. 1026.
  11. v. Liber Iurium tom. I doc. 934 col. 1322-1325.
  12. v. Annali di Caffaro e suoi continuatori, tradotti da S. Monleone vol. VII parte 2a, pag. 82.

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