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Appunti e notizie sul territorio di Arma e Taggia - Antichi Pittori


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Emanuele Maccario

Un atto del notaro Q. Velio ci dà notizia di una lite sorta fra i priori della Confraria di Andagna ed il pittore Emanuele Maccario, in occasione del pagamento di un lavoro da lui eseguito per quella confraria. A decidere tale questione fu eletto ad arbitro ed amichevole compositore il parroco di Triora Bernardo Gastardi, il quale sentite le parti su tutto quanto dicere et allegare voluerunt super quodam picturam sanct. spirit. facta per dict. presbit. Emanuel in dicta confrarie... condannò i priori a pagargli lire 75 ed anche le spese da lui fatte in depingendo dictam figuram sanct. spirit. cum suis ornamentis in dicta confraria, oltre a tutte le spese da lui sopportate in causa del ritardato pagamento.
Il colto sacerdote D. Pietro Rossi, parroco di Montalto, ha scoperto un documento che si riferisce ad un bel quadro che si conserva nel Santuario di N. S. dell'Acquasanta, e che è il capolavoro del Maccario. Il Prof. Com. G. Rossi pubblicò al riguardo un articolo nel periodico Arte e Storia (15 agosto 1904).
Con atto del notaro Vincenzo Bestagno, il 19 aprile 1545, i massari della chiesa Sanctae Mariae loci Montisalti situatae et constructae ubi vulgariter dicitur gli Avrigi... incaricarono il predetto pittore venerabilis d. p. Manuel Macharius de Pigna, di eseguire in un'anno un'ancona, alta 7 palmi, larga 6, rappresentante la Madonna col bambino, due angeli in atto di suonare diversi instrumenti, ed un paesaggio... virduram et unam fontem aquae. Il pittore doveva inoltre reparare et adaptare figuras sancti Georgis et sancti Petri... ai due lati del quadro (queste figure però più non esistono; furono sostituite con due statue). D'altra parte i massari promiserunt et se obligaverunt conferre et ei solvere pro mercede dicti operi sibi spectante scutos duodecim auri solis Italiae seu valorem eorum. Il quadro è ben conservato e protetto da una invetriata. Poco oro fa risplendere le aureole, gli ornamenti del manto, e le parole: Ave regina coeli salve radix.
Il documento che si riferisce a questo quadro fu pubblicato sul predetto periodico. Al N. 22 dello stesso trovansi notizie dei fratelli Bartolomeo e Giacomo De Roggeri, pittori, di Saluzzo.

Nota su Emanuele Maccario

Il padre Marchese nella sua opera sugli artisti padri Domenicani, pubblicata nel 1845 dice:
Quando e in qual luogo il Maccari vestisse le divise domenicane si ignora; sembra indubitato però appartenesse all'ordine sacerdotale, e venisse affigliato al Convento di S. Maria della Misericordia in Taggia. E riporta quel tratto della Cronaca che si riferisce al Maccario, ed in questo chiaramente si legge: Sed quod silentio praeterendum nemine est cum ille presbyter... etc. Erra però l'autore nell'asserire che il Maccario venisse affigliato al Convento di Taggia. Come già dicemmo, negli atti del Convento non si trova mai indicato il suo nome, mentre in quegli atti che si riferiscono ai suoi quadri è sempre e ripetutamenle distinto col titolo di prete. Né la Cronaca dice ch'ei fosse frate; né il Calvi avrebbe tralasciato di farne menzione dal momento ch'ei fece cenno di altri artisti di ben minore importanza, e cioè di un fra Nicolò Calvi miniatore, autore d'un disegno a chiaroscuro della Cena di Leonardo da Vinci, e di un fra Marco da Briga scrittore di libri corali (1500-1508).
Chi pel primo pubblicò le notizie sul pittore Maccario fu il padre Spotorno; ma essendosi egli regolato su quanto trovò scritto nella copia della Cronaca esistente nella Biblioteca Berio, restò ingannato dall'equivoco in cui cadde il copista il quale scrisse: R. P. Dominicus Emanuel Macharius, mutando così il vero senso delle lettere R. P. D. ed aggiungendo al suddetto pittore, un nome che non aveva.
Gli altri scrittori copiarono tutti dallo Spotorno, così confermarono e divulgarono maggiormente quella inesattezza. Ma chi ha un po' di pratica dell'interpretazione delle antiche abbreviazioni, leggerà sempre Reverendus Presbyter Dominus Emanuel Macharius; e i precetti, e gli esempi, esposti in tutti i trattati di Paleografia, ci danno e ci daranno sempre ragione. Per indicare la persona d'un frate si usava sempre preporre al suo nome la parola frater; in tal modo evitavasi ogni dubbio sull'interpretazione della lettera P. di Pater o di Presbyter; e quando quella parola mancava, aggiungevansi altre lettere alla P. Epperciò leggesi nella Cronaca: R. P. Fr SEbastianus... R. P. F. Petrus Vicecomes... B. Pris Xtophorus de Mediolano... etc.
Né alla semplice ed isolata lettera D. potevasi attribuire l'interpretazione di Dominicus, e neppure quella di Dominicanus, poiché le abbreviazioni si usavano fare in modo da non lasciar dubbi sulla loro retta interpretazione. Per abbreviare la parola Dominica si scriveva Dnica, né si può quindi credere che la semplice lettera D. potesse rappresentare nel caso nostro altra parola fuorché Dominus, specialmente nella considerazione che la parola Dominicanus è d'uso affatto moderno, poiché i frati or detti domenicani, si distinguevano con l'aggiunta di alcune delle parole contenute nell'espressione: fratres predicatorum ordinis sancti dominici de observantia.
Il Calvi, solo per equivoco attribuisce al Maccario l'esecuzione del quadro dipinto da Raffaele Rossi.
Dopo che i turchi danneggiarono quella pittura, pensarono i frati di farla ristorare, ed il Maccario venne a Taggia forse per loro invito. Eseguì il restauro e ritornò a Pigna sua patria e sua abituale residenza.
È a supporsi che per l'età sua avanzata fosse già indebolito nella vista (e questo è forse il motivo che gl'impedì di lasciarci molte sue pitture) e che a cagione dello sforzo cui dovè sottoporsi per eseguire quel restauro, diventasse totalmente cieco.
Il popolo, sempre pronto ad alterare la verità, a crear leggende, a diffamare persone stimate, creò quella diceria, che ripetuta di bocca in bocca fu poi pubblicata dal Martini nelle « Passeggiate »: Si narra anzi, che sia stato esso ad aggiungere gli occhiali a San Domenico, e che il poco rispettoso Padre sia stato per castigo colpito da cecità mentre si recava a Pigna sua patria.
Esaminando attentamente quella pittura si vede che gli occhiali furono disegnati dal pittore stesso che aveva eseguito il quadro, e cioè da Raffaele Rossi. Ma questi non volle con ciò fare uno scherzo, bensì volle dimostrare la sua abilità col rappresentare la trasparenza delle lenti.
Ma il Calvi riferisce quanto sentì raccontare, ne tralascia di far conoscere la pretesa colpa del prete pittore, allo scopo di mettere in evidenza il maggior pregio che col preteso miracolo viene attribuito al quadro. Egli vuol dunque proprio riferirsi al Maccario quando dice: et cum ille presbyter...
Qui il padre Marchese finge di credere che il fatto si riferisca a un altro prete. Ma di preti pittori non c'era che il Maccario, né si può credere che i frati avrebbero permesso che il quadro fosse ritoccato da un altro prete poco esperto nell'arte. Ad ogni modo, se un altro pittore prete fosse davvero esistito ed avesse ritoccato il quadro attribuito al Maccario, il Calvi si sarebbe espresso diversamente, e ci avrebbe forse fatto conoscere il nome e la patria di quell'artista. Non sarebbe allora caduto nell'equivoco che gli fece dire che il Maceario era l'autore del quadro, anzi è ben probabile che non ne avrebbe nemmen saputo il nome.
Anche la tradizione ci lascia nella persuasione che il Maccario non appartenesse al Convento di Taggia, essendo presumibile ch'egli sarebbe rimasto nel suo convento e non ritornato a Pigna.
Nel manoscritto della Cronaca che trovasi nello Archivio di Taggia si leggono chiaramente le lettere pbr senza alcun punto, con una elegante graffa d'abbreviazione sovrapposta e intersecante l'asta della lettera b. Nella copia che trovasi nella biblioteca Berio di Genova leggesi prbro; e in altra antica copia ch'è a nostre mani leggesi l'intera parola presbyter.
E siccome il padre Marchese si dichiara tenuto alla gentilezza del Can. Lotti per le notizie sul Maccario, dobbiamo pur ritenere che anche il Lotti vi leggesse presbyter, né d'altronde è possibile leggervi altrimenti. Non si può ammettere che quella abbreviatura si debba leggere pictor poiché tale parola oltre a non essere addatta all'abbreviatura non era nemmeno frequentemente adoperata. Né è possibile che il Calvi volesse con quella riferirsi ad un altro pittore del quale non aveva fatto cenno alcuno.



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