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APPUNTI E NOTIZIE SUL TERRITORIO DI ARMA E TAGGIA (8)


  Cap. 8
 
 

Cap. 8

Nel 1891 il Consiglio comunale di Taggia, su proposta del Dott. Cav. D. Fornara, deliberava di aggiungere sullo stemma di questa città, le lettere S.P.Q.T. che già vi si leggevano nei precedenti secoli XVIII e XVII (come risulta da varii disegni impressi a fuoco sul cuoio della fascia di alcuni registri comunali di quelle epoche e da varie cronache manoscritte).
La Consulta Araldica però, non fu interpellata al riguardo, e perciò lo stemma di Taggia, ufficialmente risulta sempre eguale a quello della città di Albenga. Strano è che su tutte le carte del nostro Municipio si trovi rappresentato in modo ancor più errato, questo già errato stemma, poiché, mancandovi la punteggiatura, che in araldica indica l'oro, appare formato con croce rossa su campo d'argento. La conversione dell'oro in argento non rappresenta certamente un'operazione conveniente, e costituisce un augurio ben poco lusinghiero per le finanze comunali! E le iperboliche lettere S.P.Q.T., troppo facilmente si prestano a molte altre interpretazioni assai strane. Forseché un tale stemma doppiamente errato, meglio si adatta a rappresentare le moderne condizioni del Senatus Tabiensis?
Coloro che amano il trionfo della verità, e preferiscono la semplicità e la naturalezza ai pomposi e vani ornamenti della moda, non possono fare a meno di esclamare: ritorniamo all'antico! Ma potranno i tabiesi rinunziare al fascino delle fatidiche lettere S.P.Q.T., alla gloria del Senatus Populus que Tabiensis?
Nell'opuscolo « Notizie statistiche, geografiche ed agricole ecc. » pubblicato nel 1881 dal Sotto Prefetto Domenico Monterumici, leggesi che nel Circondario di Sanremo vi sono soltanto sette comuni aventi stemma, e cioè: Sanremo, Ventimiglia, Taggia, Triora, Ceriana, Pigna, Colla. Vi si legge inoltre che lo stemma di Taggia è « croce rossa in campo bianco ». Ciò dimostra che il Municipio di Taggia colle errate sue carte ha indotto in errore anche il Sotto Prefetto del Circondario di Sanremo.
E Bussana non ha uno stemma? Nel noto e diffuso libro di Amalia Cappello leggesi:
« Sotto un porticato ancora in piedi, posto a lato della chiesa... si riunivano i maggiorenti del paese per discutere dei loro affari. Nella volta si vede ancora lo stemma di Genova, croce rossa in campo bianco e la leggenda: libertas! »
Erra chi asserisce esser questo lo stemma di Bussana inaugurato allorché questa fu separata da Taggia; tale stemma però fu eseguito verso quell'epoca.
Ad ogni cambiamento di governo solevansi cancellare le insegne e gli stemmi del governo scaduto per sostituirvi quelle che dovevano rappresentare il nuovo potere. Il giorno 25 gennaio 1436, fu quello che segnò la fine dell'odiato governo del Duca Di Milano, Filippo Maria Visconti. Allora si vide cancellato l'odiato biscione Visconteo, e fu inaugurata una nuova era di libertà. Il popolo genovese Link esterno sfogò contro l'esoso governo del Duca tutto l'odio che da gran tempo covava nel cuore. Repentinamente ribellatosi uccise il Governatore Opizzino di Alzate (Commissario Visconteo), e mise in fuga il presidio ed il nuovo Governatore inviato dal Duca. È certamente in queste memorabili circostanze che la parola « libertà » proruppe forte e spontanea dal petto di tutti i genovesi, e fu perciò scritta accanto alla croce rossa dell'antico stemma genovese.
« Francesco Spinola irrompeva dalle proprie case con molti seguaci ed amici in arme, e primo gridava libertà! Fu quella parola accolta con incredibile affetto, e ben stimavasi come fosse stata lungamente desiderata. » (Varese, Storia di Genova, Vol. III).
Furono eletti i sei Presidenti della città e difensori della libertà, che poi furono portati ad otto; fu eletto Doge il popolare Isnardo Guarco, poi sostituito con Tommaso di Campofregoso. Intanto Nicolò Piccinino inviato dal Visconti, saccheggiava e metteva a fuoco i paesi della Riviera di Ponente, finché pose l'assedio ad Albenga. Ma dopo un grande affaccendarsi per tutta la Riviera, l'assedio fu tolto il 15 giugno 1436. Allontanatosi l'esercito del Duca, la libertà parve assicurata; perciò fu diramato nei Comuni delle due Riviere l'ordine di dipingere le insegne del nuovo Doge accanto allo stemma della libertà; il che è provato dalle seguenti note di spese:
Anno MCCCCXXXVI die XXIII jullij... in certis expensis causa faciendi pingere alma domini ducis s. XV.
Item ea die in servente... in eius fatiga ad adiuvandum faciendum alma fregosa soldorum VI.
Iten ea die in Toma Cavigia in carcina habita causa impingendi alma fregosa soldor. VI.
Item die III augusti in domino presbitero Johanni Gaudo de S. Romulo et sunt pro faciendo alma fregosa et alma domini potestator videlicet computat. q. debere solvere coloribus dicte alme librar. quatuor sold. duobos cum dimidio...

Nelle lettere dell'Ab. Oderico (pag. 208) è descritto lo stemma dei Fregoso: spaccato innestato d'argento e di nero con otto punte terminate in globo (e cioè quattro nere, innestate in quattro d'argento, tutte della stessa forma e grandezza). Questo stemma si disegnava accanto a quello della croce rossa in campo bianco con l'aggiunta della parola « Libertas! » come appunto osservasi in quello che fu disegnato a Bussana.
Nel dicembre del 1442, per intrighi dei Fieschi e degli Adorno, scoppiò un tumulto di popolo; il Doge Tommaso di Campofregoso, preavvisato della ribellione, abbandonò subito la Signoria.
Vennero allora eletti gli otto « Capitani della Libertà » i quali furono incaricati del governo provvisorio.
Costoro inviarono, nei Comuni delle due Riviere, l'ordine di cancellare le insegne dello scaduto Doge; rimaneva però sempre lo stemma di Genova o della Libertà. Nel registro delle spese del 1443, leggonsi in data 15 gennaio, a pag. 10 e 12 queste note:
In magister Donatus de Lancia et sunt in jornatis 3 ad despingend. alma fregosa ut in eius racio sold. V.
Iornatis 3 ad despingendum armam fregosam s.V.

Ma ecco che il 28 gennaio 1443 fu creato Doge di Genova Raffaele Adorno. Nuovo stemma da dipingersi! Ricaviamo dal registro delle spese:
Anno 1443 die 15 marci. Item in uno nuncio qui portavit literam impingendi almas sold. III.
In petro panerio et sunt in jornatis ipsius muli in tirando carcina pro impingendo almas Adurnos s. X.
Item in domino Iacobo Durante impenzetore pro impingendo almas domini ducis domini Raphaeli Adorni librar. II soldor. X.

Del pittore Giacomo Durandi di Nizza, si ebbero le prime notizie dal Barralis, nell'opera « Chronologia Lerinense » (parte II pag. 182). Eseguì nel 1454 un quadro per la Cappella di Santa Croce nell'isola di Lerino, del quale esistono ancora tre reparti (Morris. L'Abaye de Lérins. Paris. 1909, pag. 374, 429).
Esiste nella Parrocchiale di Fréjus un bel quadro a fondo dorato, portante la firma Jacobo Durandi (Bres. Notizie inedite di alcuni pittori nicesi. Nizza 1909; pag. 28, 29, 30). Nel 1461, Giacomo e Cristoforo Durandi, fratelli, dipinsero le armi sopra la poppa di una galea del Principe di Savoia (Cais de Pierlas - La ville de Nice pendant le premier siècle de la domination des Princes de Savoie). Giacomo Durandi morì poco tempo prima del 18 aprile 1469 (Bres. Da un archivio notarile. Nizza 1907, pag 61). Egli trovavasi nel 1443, in Taggia, forse per dipingervi un quadro della Madonna, nella Chiesa Parrocchiale; il che ci par di scorgere da parecchie note del registro delle spese del Comune. Veniamo così a conoscere un periodo di 26 anni di vita artistica, di un pittore poco noto (1443-1469).
1443 15 marci. In domino Rainardo Regecia et de n° in magestate nostra domina Sancti Jacobi et Philippi ut in racio in isto cartis XV lib. LXX.
A quell'epoca però, già esisteva nella Chiesa di Taggia un quadro della Madonna, poiché nel registro del comune si trova una nota di spesa per far accomodare una Madonna dal pittore Francesco Servente di Porto Maurizio.
La forma dell'arma del Doge Raffaele Adorno ci è descritta a pag. 133 delle « Lettere Ligustiche » dell'Abate Oderico: « L'arma Adorno in campo d'oro porta in banda scacchi d'argento e neri a tre file ». Ma questo stemma ebbe delle modificazioni a seconda dei diversi rami della stessa famiglia.
In un'opera manoscritta (Federici?) trovasi così descritto lo stemma degli Adorno: « Scudo azzurro con tondo d'oro portante aquila nera. ». Questo stemma, nell'epoca di cui parliamo, ebbe invece del tondo d'oro coll'aquila, una banda bianca portante scritto in lettere d'oro « Libertas » e fu questo il nuovo stemma genovese della libertà.
Da una illustrazione storica dello stemma di Genova, pubblicata nel 1904 dal Cav. A. Boscassi, archivista del Comune di Genova, riportiamo: « Nella rivoluzione occorsa fra i Dogi Campofregoso e Adorno dal dicembre 1442 al gennaio 1443, venne creato il governo dei così detti Capitani della Libertà ». Forse in quella circostanza si fece innanzi la nuova insegna dello scudo azzurro con banda bianca, avente la scritta in oro « Libertas ». Tale scudo lo troviamo in seguito accoppiato al primitivo e costante di croce rossa in campo bianco. La parola Libertas fu in tal occasione ed in seguito impressa nell'insegna e sulle monete colla leggenda « Libertas Januensium ».
Da quanto abbiamo esposto ci sembra risultare:
1° Che l'aggiunta della parola "Libertas" allo stemma genovese della croce rossa si fece fin dal 1436;
2° Che i Capitani della Libertà non ordinarono alcuna modificazione nello stemma di Genova;
3° Che lo scudo azzurro con banda bianca è una modificazione dovuta a Raffaele Adorno.

Nel registro delle spese dell'anno 1472 v'è una nota riferentesi allo stemma di Taggia la quale ci dà motivo di fare un'aggiunta a quanto leggesi più sopra e nel Cap. VII.
Nel 1436 il Comune di Taggia fece eseguire due bandiere dallo stesso pittore che dipinse gli stemmi di Genova, del Campofregoso, e del Podestà. Ciò risulta dalla seguente nota del registro delle spese in data del 15 novembre 1436:
Item ea die in domino presbitero Johanne Gaudo in factura de duabus banerijs soldorum 45 sive librarum II et soldorum V.
In queste bandiere v'era certamente disegnato lo stemma antico di Taggia, cioè quello colle lettere « t.A.b.y.A. », indicanti il nome di Taggia.
Nel 1472 si fece dipingere sulla porta del Palazzo Comunale lo stemma di Taggia, forse insieme a quello di Genova e a quello del Duca di Milano (Galeazzo Maria Sforza, succeduto nel 1466 a Francesco Sforza), stemma contenente l'aquila nera in campo d'oro, inquartata col biscione Visconteo su campo d'argento. Troviamo quindi alle pagine 101 e 103 del Registro delle spese del Comune, le note seguenti:
...ea die que fuit XVIII jullij. Expense facte in impingitoribus q. impingerunt armas in porta comunitatis solut. pro Jacobo Borchano de comisione benedidti de Camosso unus ex ancianis... librar X soldor. II.
Die XI octobris. Item de n° jornatis in dominico ogeri adiuvandum magistro qui fecit almas ad ostium comunitatis s. XV. d. VIII.
Item ea de n° pro calcina habita ab etore regecia pro ponere ad faciendum almas comunitatis soldorum VIII.

Non potemmo trovare alcuna nota che ci svelasse il nome del pittore.
Questo stemma di Taggia era certamente eguale a quello eseguito sulle bandiere del 1436, e servì poi per dare il disegno del sigillo che trovasi impresso sulle lettere del 1507 (vedi Cap. VII) quindi fu sempre rifatto nella stessa forma e cioè con le lettere t.A.b.y.A. che, come già dimostrammo, ricevevano questa religiosa interpretazione:
Te Altissimum Benedictum Yesum Adoremus.
Crediamo interessante dire qualche cosa a riguardo dello stemma, come pure del sigillo comunale di Triora.
Nel citato opuscolo di Monterumici leggesi che lo stemma di Triora è « un cane cerbero, scelto per le tre teste e le tre bocche, forse in relazione con i tre fiumi: Tanaro, Nervia, Argentina, che appunto hanno le sorgenti sul territorio di quel Comune ». Il vero can cerbero dell'antica favola mitologica e che Dante pone alla guardia della porta dell'Inferno, aveva sette teste. Forse il cane a tre teste allude all'importanza strategica della località, poiché gli antichi già ritenevano Triora come la guardia militare di tre vallate; oppure indica il nome stesso di Triora tria ora, tre bocche.
In parecchie lettere del secolo XVI, spedite dal Comune di Triora, si vede l'impronta del sigillo Comunale, portante quattro lettere t. o i A, scritte in modo che rappresentano l'intero nome trioria, e cioè, sul t v'è un apostrofo, usuale abbreviatura del tri, e sulle vocali o i A v'è un segno ondulato indicante l'abbreviatura della lettera r.
Uno speciale sigillo dello stesso genere aveva il Comune di Montalto; conteneva cioè le lettere maiuscole M O, con sovrapposto un segno d'abbreviazione, molto usato, simile alla lettera greca omega.

Essendosi il 29 gennaio 1512 eletto Doge Giano Fregoso, si cambiarono nuovamente le Armi o stemmi. Leggiamo nel Registro delle spese:
In nigro in pintore qui impingit alme in murum comunitatis... expensis in pictori qui impinxit almas in murum confrariarum libr. XX... expensis in pictori qui impinxit almas in Janua comiss. apud domini Jahannis Baptistam Pallam librar. XL.
Ed in un atto del notaro Agostino Ardizzoni, in data 28 ottobre 1512, leggonsi i nomi di due pittori che si recarono a dipingere le armi in Triora:
Magister Jobapta depinctor de Brayda de Janua suo nomine et vice Magister Angeli de lo Chericho de Mesina eius cugnatus etiam depinctor... eius procurat. ut patet vigor. instr. Bartol. Conradi not. de Porto Mauricio... recognoscit Marco Lancia de Triora... nomine et vice dicte comunitati habuisse et recepisse scuta auri solis quinque cum dimidio ad complement. tocius quic quid dict. Iobapte et Angelus habere deberent a dicta comunitate occasione armorum et insigniorum hiis diebus depintar et factar pro ipso loco triorie.
Di questi pittori parla l'Alizeri nel Vol. II e III Pittura (pagina 399 e 183) dell'opera « Storia delle belle Arti in Liguria ». Ci fa conoscere che entrambi furono per commiserazione dispensati dall'obbligo di inscriversi sulla matricola genovese degli esercenti l'arte della pittura, essendo poveri, e fisicamente digraziati. Ci fa pur conoscere che G. B. Braida si perfezionò nella pittura a Milano; che lavorò su quel di Albenga; che fu a Triora, ove dipinse una bandiera per la Comunità e per il prezzo di quattro scudi, i quali furono poi pagati al di lui padre Ambrogio (dopo la morte del pittore), in seguito a molte contestazioni, sorte forse a cagione del citato atto di quitanza (Alizeri. Vol. III. Pittura, pag. 192) o Del Chierico, trovasi pur indicato col nome di Angelum de Mesina de Chierico q. Antonii Jacobi.
Essendosi l'11 giugno 1522 eletto Doge Antoniotto Adorno (successo ad Ottaviano Fregoso), si dovettero nuovamente cambiare le insegne. Leggesi del registro delle spese del Comune, di quell'anno:
...pro magistro Antonio Bonicho libr. tres pro mercede iornat. trium aparat. causa insignia Adurna fienda librar. VII soldor X... Antonio Vivaldo q. Johanni pro calce et pro mercede sua aparat. in insignibus fiendis...
E negli atti del notaro Giovanni Velio trovasi una lettera in data 20 luglio 1522 inviata agli anziani di Triora da PaoloSpinola Podestà di Diano e di Triora, nella quale leggesi: ...come sapete quando io partii di lì presi cura di mandarvi de pintori per dipingere le arme secondo el solito... vi piacerà metterli in opera facendoghe fare lo debito loro, così a Baraucco come a Montalto ed altri lochi... gli ho detto la forma come hanno a stare dicte arme...
Un atto dello stesso notaro ci fa conosceere il nome di questi pittori, essendo esse stati incaricati, poco tempo dopo, dell'esecuzione d'un quadro che tuttora esiste, ben conservato, nella chiesa di San Martino in Andagna (per ristorare tale oratorio si venderebbe volentieri questo quadro).
Questi pittori erano cioè: Pietro di Caminata pittore e intagliatore genovese, morto nel 1530, e Raffaele di Fassolo, figlio di Lorenzo, di Pavia.
Il citato autore tratta a lungo di Lorenzo Fassolo e dei suoi figli Bernardino e Raffaele, ma non fa cenno alcuno del quadro eseguito in Andagna dal Raffaele insieme al Caminata. Lorenzo Fassolo era assai conosciuto in Genova e collaborò col pittore Ludovico Brea di Nizza. Riportiamo quasi per intiero il detto documento:
In nomine domini amen. MDXXII indic. X die XX Augusti. Ant. Caponus peirel, marchet. rogerius massarij S. Martini, m. Ant. Sifredus, marcus caponus... massari S. Bernaldi, lazarinus caponus masar. S. Antonij et lodixius caponus et Ant. manuel. masarij S. Benedicti et Corporis Christi, M. Dominicus Sifredus, lazarinus caponus prior. confratrie, Dominicus caponus saruzo prior batutor. Jacob. peirel, Ant. manuel, petrus sarugius q. Ieron., Augustus mussus, Io. vellius paulet. Io caponus roger: lucas sifredus, m. filipus ferar. omnes de Andagna, ellecti deputati ab hominibua Andagne sive maiorj partea ipsorum ut constat. instr. manu mei not... ex una parte et mastri petri de Caminada de Genua et mastri rafaelis de faxoa de papia habitatore Genue parte ex altera. Constitut. in presentia mei not. et testium infr. ad hec specialiter vocat. et rogat. ad infr. pacta et conventiones pervenerunt et perveniss. confessi videlicet quod dict. mastr. petrus et rafaelinus pintores promiserunt facere depingere et construere magestatem sancti martini sub designo dato... et in qua magestate vadunt figure octo... videlicet figura de medio Sanctus Martinus, ab uno latere S. Jacobus et ab alio S. Jobapta sup. in medio nostra domina, ab uno latere S. Antonins et ab alio latere S. Caterina et in culmine dicte magestate S. Lucia et S. Agata et in scabellum vita S. Martini. Cum omnibus coronis doratis... latitudo magestat. parmi VIII longitudo par. XI. Et versa vice suprad. ellecti promiser. dictis pinctoribus scuta triginta solis... librar. decem et soldor. quatuor pro singulo scuto... Actum in ecclesiam predicti S. Martini Andagne presentibus testibus presb. Ambrosius Stella et m. lucas blacho de molinis testibus ad premissa vocatis et rogatis. Johannes Vellius Notarius.
Venne forse a quei di Andagna il desiderio di far eseguire un tal quadro perché piacque quello di San Mauro, eseguito pochi anni prima dal pittore Emanuele Macario, per incarico degli abitanti di Molini nella chiesa di S. Lorenzo.
Questo quadro però, nel 1862 fu venduto per la misera somma di lire 50, e partì per ignota destinazione. Noi abbiamo però avuto la soddisfazione di rintracciarlo. L'Alizeri ci dà notizia di un quadro del Macario che figurava all'Accademia di Genova, nel quale leggevasi l'iscrizione seguente:
1519 die XX... Hoc opus fieri fecerunt m. Jacobus Marinus et Dominicus Cap... massari. Manuel Macharius de Pigna faciebat.
E nel catalogo della mostra d'Arte Antica aperta nelle sale del Palazzo Bianco in Genova, leggesi: « I santi Benedetto abate, Paolo Apostolo e Giovanni Evangelista; la B. V. col Putto e le Sante Agata ed Apollonia. Tavola a scomparti su fondo d'oro; proprietà del Cav. G. B. Villa. Di faccia a S. Giovanni si legge: Manuel Macharius de Pigna faciebat 1519 die X... Hoc apus fieri fecert. M. Jacobus Marinus et... dicte ecclesie Massarj. »
Il Municipio di Genovca ne ha ora fatto l'acquisto.
Nelle filze del notaro A. Oddo di Triora abbiamo trovato l'atto di ordinazione di questo quadro (3 maggio 1518, indizione IV) e l'atto di quietanza (per scudi 17 di L. 10 e soldi 16 ciascuno) in data 13 novembre 1518, indizione VI:
In nomine domini Amen. MDXVIII indic. VI die III maij. Presbiter Manuel Macarius de pinea ex una parte et Jacob Marinus et Dominicus Caponus masari Sancti Laurenti ex altera parte... pervenerunt ad infr. pacta et condiciones ut ipse venerab. presbiter manuel se eidem teneri obligatus dicti masari causa faciendi cuiusdam magestatem videlicet figuras depintas hinc est ut ven. presbiter tenetur facere in medio dita magestate sancti mauri et a latere destro S. Johannis evangelista et a latere sinistro S. pauli superius de quadris superiores de medio virginis Marie cum filio... et a duobus lateribus S. Apolonia et S. Agata et ipsi teneri et obligavit facere campos auri... tenetur facere in bancheta tres capitulos vita Sancti Mauri... Et ipsi masari tenentur dicto venerabili presbitero manuel pro dicta magestate solvere scutos XVII sive scutos decemsete soli. Et ipse venerab. d. presbitero etiam tenetur facere unum paramentum de altari Sancti Mauri supra tela computat. dicto paramento inter dicto scutos... et ipse facere debere in dicto paramento imolacione fili Abrae videlicet capitulus. Et d. presbiter tenetur facere omnes figuras ab olei excepto illas de paramento et illas de bancheta. Actum in platea molinis... illap. ex molinorum triorie pres. test...
Lo stesso pittore dipinse un'ancona per la Società di Santa Maria di Rezzo (atto 14 dicembre 1524).
Il padre Calvi nella sua Cronaca erroneamente lo dice frate dell'Ordine di S. Domenico e lo dice autore di un quadro esistente nella chiesa di S. Domenico, vicino al pulpito. Un atto del notaro G. B. Ardizzoni ci fa conoscere che questo quadro fu eseguito da un pittore fiorentino:
...Magister Raphael de rubeis pintori florentinus quond. nic.... tenetur et obligatus sit facere et pingere anconam unam cum sua bancha de illa altitudine et latitudine et cum tanto auro adornata et de illa fatione sicut est illa de sancta Cruce que est in ecclesia S. Jacobi et Philipi de Tabia cum tribus figuris videlicet Sanct. Jheronim. S. Dominic. et S. Caterina martir et quod dict. figur. seu sanctor. sint equales in pulcritudine sicut Sancte Marie de Rosario. S. Dominico et S. Cecilia fabricat. p. quondam mag. lodixium bream niciense et q. dicte ancone sit fabricat. per dict. mag. raphaele in mensis tribus p. v... Et hec pro pretio et nomine preci scutor. triginta quinq. auri usque in scuta quatraginta duo in eletione dicti Jheron. regitie edoardi curli et francisc. vasoris de Arquata secundum bonitatis et pulcritudinis dicte... Et pro eo intercesit et fideiussit francisco Vasorio de arquata...
Actum in convent. tabie in ecclesia anno dominice nativit. MDXXIII indic. XI die martis XXIII marci presentib. testib...

Questo quadro però non contiene indorature, né ha la banca; fu nel 1564 molto danneggiato dai turchi e malamente ristorato. Credemmo a tutta prima si trattasse del pittore detto « il Rosso fiorentino » ma una nota che leggesi alla pag. 666 del Vasari ci dice che questi aveva nome Giambattista di Jacopo.
Il documento riportato ci dimostra che Ludovico Brea fu l'autore dei quadri del Rosario, di S. Domenico, di S. Cecilia (?) esistenti nella stessa chiesa, ma non ci spiega s'egli sia pure l'autore della S. Croce che trovasi nella Parrocchiale. È però tradizione che questo quadro sia d'un Brea. Lo stesso documento ci prova che il Brea morì prima del 23 marzo 1523; si sa però, che il 9 marzo 1522 egli era vivente; forse morì nei cinque mesi in cui infierì la peste in Nizza (Bres. op. cit.).
Nella Cronaca del Convento non si trovano a riguardo dei quadri più antichi esistenti in S. Domenico quelle più precise informazioniche si desidererebbe avere. Il padre Calvi non seppe ricavarle dal registro delle spese, né dagli atti, perché non conosceva il carattere antico gotico-corsivo in cui quelli erano scritti, cosicché interpretò per Ludovicus Bica il nome del Brea, e sulla Cronaca si vede chiaramente la posteriore correzione che fu eseguita da altra mano.
Nelle filze del notaro Bart. Curlo v'è un atto di quitanza in data 15 aprile 1488, pel pagamento fatto da Cristoforo Pasqua a Ludovico Brea, di scudi sette d'oro, a complemento di scudi 65 già pagati dal detto Cristoforo per il quadro di S. Maria della Misericordia posto nella Chiesa del Convento di Taggia, come da legato del padre suo Giovanni. Il Calvi indica erroneamente Ludovico Pasqua invece di Giovanni; egli fece forse confusione col nome dell'autore del quadro. In quei tempi non esisteva alcun Ludovico Pasqua e da parecchi atti risulta che il padre del Cristoforo era Giovanni q. Giacomo, ed era morto verso il 1483, data pur indicata dal Calvi.
Nelle filze dello stesso notaro B. Curlo, v'è un atto del 28 febbraio 1488, col quale Ludovico Brea promette a Suor Bianca Porra, prioressa delle suore Terziarie dell'abito di S. Domenico, ed a suora Antonia figlia del fu Michele Martini, di fare un'ancona di almeno palmi otto per dieci, con la sua banca o piede, e con le imagini seguenti: in mezzo S. Caterina da Siena, da un lato S. Lucia, da un altro S. Agata; nella parte superiore, in mezzo la B. Vergine coll'angelo Gabriele, da un lato S. Michele Arcangelo e dall'altro S. Raffaele con Tobia. Ludovico s'impegna di consegnare alle predette suore, il quadro ben finito, entro otto mesi decorrendi dal 1° marzo 1488, pel prezzo di 35 ducati d'oro. Questo quadro sta appeso nella parete a ponente dell'altar maggiore; manca però la predella che fu staccata e divisa in piccoli quadri, due dei quali esistono nella vicina cappella delle Reliquie, e rappresentano fatti della vita di S. Caterina.
Nelle filze del notaro Agostino Ardizzoni v'è un atto del 13 novembre 1512 col quale Ludovico Brea promette ai rettori della Cappella del Rosario (in San Domenico) di fabbricare e dipingere anchonam sive magestatem unam (secondo il suo disegno sottoscritto dai rettori) di palmi 15 compresa la predella, esclusa però la cimasa, e ciò fra un anno a cominciare dal primo gennaio 1513. Il prezzo convenuto è di cento scudi d'oro del sole, o del valore equivalente. Son previste penalità per il caso di ritardo nella consegna del lavoro.
Il p. Calvi dice semplicemente: Artifex seu pictor illius iconis creditur Ludovicus Brea Niciensis, a quo et biblioteca depicta fuit.
Un bel quadro di Ludovico Brea esiste in Montalto, nell'antichissima chiesa di San Giorgio. In alto sulla cornice leggesi:
Hoc opus fecit fieri Communitas Montalti ad honorem Dei et gloriose Virgini Marie et Sancti Georgii martiris.
Existentibus tunc Massarijs et sindicis Jacobo Rodo, Georgio Admirato et Nicolao Bestagno videlicet de Anno domini 1516 die 14 mensis novemb.

Un altro quadro dello stesso pittore, esisteva pure nella Chiesa Parrocchiale di Montalto, ma circa venti anni fa fu venduto (forse per poca moneta), né si sa ove sia andato a finire. Ne parla l'Alizeri a pag. 301 del Volume II della Pittura. Fu fatto eseguire per conto del Comune (atto 17 luglio 1485, notaro Rodi) per intercessione di un Pietro Brea di Montalto. E siccome non è presumibile che per semplice omonimia abbia costui interceduto a favore di Ludovico, è da ritenersi che esistesse fra di loro un qualche grado di parentela (Bres. Brevi notizie inedite, ecc. pag. 8).
La prima opera che di lui si conosca è una Pietà nel 1475, che trovasi nella Chiesa di Cimella. Esistono molti suoi quadri a Genova, a Savona, a Monaco.
Vissero però ai suoi tempi altri Brea di NIzza, pittori, e molto probabilmente suoi parenti.
Di un Antonio Brea esistono due quadri a Diano Borello e a Diano Borganzo.
Di un Pietro Brea v'era un'Annunziata nella chiesa di S. Maurizio, in Riva Ligure (notaro Giov. Gatto, atto 23 aprile 1506).
In questa chiesa v'era pure un quadro del pittore milanese Giovanni da Montorfano come consta dall'atto di quitanza 22 luglio 1476 (dello stesso notaro G. Gatto) pel pagamento di lire 89, fatto da Giacomo Aicardo massaro della chiesa di S. Maurizio, per una magestate facta per dicti Johanni dicto Jacobo pro ecclesia sancti maurici de Ripa tabie.
Questo pittore eseguì in Dolceacqua, per 75 ducati d'oro, d'incarico di Bartolomeo Doria, un quadro con legname intagliato, per la chiesa di S. Antonio (atto 16 dicembre 1475, notaro Ch. Ardizzoni).
Il 6 aprile 1475 fece procura a Jo: Jacobo de Laude pintore de mediolano (G. Giacomo da Lodi) per liquidare alcuni suoi interessi a Milano. Probabilmente dipinse per la Chiesa di S. Domenico in Taggia il quadro dell'Annunziata coi Santi Fabiano e Sebastiano che il Calvi dice eseguito nel 1474 per incarico della famiglia Asdente, e che trovasi ormai molto danneggiato sia per l'umidità, sia per i varii restauri eseguitivi.
Egli adunque trovavasi qui fin dal 1474, ed è forse in conseguenza della già prolungata sua assenza da Milano che nei primi mesi del 1475 dovè far procura a Giangiacomo da Lodi. A Milano lavorò per incarico del Duca nel Castello di Porta Giovia (T. Malaguzzi-Valeri. Pittori Lombardi del quattrocento; pagg. 56, 57, 239, 248), e fu forse dallo stesso Duca inviato al suo alleato Bartolomeo Doria, Signore di Dolceacqua, nell'occasione in cui questi cominciò i grandi restauri del suo Castello. Esecutore di tali lavori fu il capo muratore Bartolomeo De Lancia, di Taggia, il quale, negli anni precedenti, per incarico della Comunità di Dolceacqua, aveva fabbricato la chiesa di S. Antonio, il che risulta dall'atto 9 ottobre 1471, del notaro Cherubino Ardizzoni.
Giovanni da Montorfano dimorò oltre sei anni a Dolceacqua e vi possedette dei terreni, per cui è probabile ch'egli abbia eseguito in questi paesi parecchi altri lavori. Il Rossi però non ne fa cenno alcuno nella sua storia del Marchesato di Dolceacqua (edizione 1862, pagg. 103, 105, 113) e solo ci dà qualche notizia di E. Maccario, di Corrado d'Alemagna, di Ludovico Brea, e di un quadro di Santa Devota che questi doveva dipingere per la chiesa di Sant'Antonio, in virtù di un legato fatto verso il 1514, da Francesca moglie di Luca Doria e figlia di Lamberto Grimaldi signore di Monaco e già signore di Ventimiglia,
Dal notaro Bartolom. Curlo abbiamo notizie di un magister Carolus Alamanus habitator Villelonege sive civitati foro iulli... (atto 4 ottobre 1481), ma non sappiamo se esista relazione fra questi e il pittore Corrado d'Alemagna, che dipinse in Taggia nel 1477 (Calvi).
E dal notaro Cherubino Ardizzoni abbiamo notizia di un Dominicus Alamanus (atto 21 marzo 1474) ma neppure sappiamo se costui fosse pittore.


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