In Liguria la via romana seguiva il tracciato dell'antichissima "Via Eraclea", che, percorrendo il litorale,
collegava l'Iberia con le coste tirreniche; esisteva da tempi remoti, poiché le sue origini erano legate al mito di
Ercole. In un brano del "Prometeo" di Eschilo (VI sec. a.C.) si descrive la lotta fra Eracle e l'intrepido esercito
dei Liguri: il combattimento si svolgeva in un territorio acquitrinoso, l'eroe in difficoltà, riuscì a sconfiggere
quei rudi guerrieri soltanto mediante l'intervento di Zeus, che gli fornì le armi, facendo cadere "una grandine di
ciottoli". Del resto secondo Erodoto (V sec. a.C.) i Liguri erano noti presso i Greci come i popoli più lontani
dell'ovest, quelli che avevano arginato l'espansione dei Focesi, fondatori, nel VII sec. a.C., della colonia greca
di Marsiglia.
La mitica strada venne nominata da Aristotele nell'opera "De Mirabilis" (IV sec. a.C.), certamente si trattava di una
strada impervia con passaggi angusti e scoscesi, a tratti intagliata nella roccia o contenuta entro mura pelasgiche
(formate da enormi massi irregolarmente), ma di fondamentale importanza per la comunicazione litoranea.
Durante le guerre puniche (III sec. a.C.) le popolazioni del Ponente, gli Intemeli, gli Ingauni, i Sabazi, parteggiarono
per i Cartaginesi, si unirono a Magone, fratello di Annibale, consentendogli il transito per via terrestre e i
collegamenti marittimi necessari a compiere la distruzione di Genova, alleata dei Romani.
Sconfitti i Cartaginesi, Roma impose con la forza i suoi presìdi lungo le vie consolari e, sebbene i Liguri la
impegnassero ancora con ribellioni e combattimenti durissimi, per oltre settant'anni, cercò di stipulare dei trattati
e di regolare in modo duraturo i rapporti con questi guerrieri indomiti.
Ormai la via all'espansione romana verso ovest era aperta e passava per la Liguria, ma il compito di pacificare
la bellicosità dei Liguri richiedeva altri decenni di lotte.
Soltanto dopo la strage compiuta dal Console Lucio Paolo Emilio (181 a. C.) le tribù dei Liguri giunsero ad accettare
il "foedus" (patto stipulato tra Roma ed un'altra nazione), che garantiva ai Romani la sicurezza del transito lungo
la costa per una profondità di 12 stadi (circa
3 Km). Finalmente nel 109 a.C. la via Aurelia che collegava Roma con Luni, poté essere prolungata, dal Console Emilio
Scauro, fino a Vado (1). Oltre questa località il percorso rimaneva praticabile, ma era molto accidentato riallacciandosi
con l'antica Via Eraclea (Vado-Monaco).
Nel 13 a.C., in seguito al miglioramento della rete stradale voluto da Augusto, la via Aurelia fu portata a termine
nell'ultimo tratto, da Vado ad Arles, sulla sponda sinistra del Rodano e fu denominata via Julia Augusta.
Sul colle della Turbie (Francia), che sovrasta Monaco, venne innalzato l'imponente Trofeo di Augusto (6 a.C.), per celebrare
l'imperatore che aveva sottomesso "tutte le genti alpine che si estendevano dal mar Adriatico al Tirreno", realizzando
un grandioso progetto di dominio non solo militare, ma anche politico-amministrativo.
[Trofeo di Augusto a La Turbie (Francia)]
La solenne iscrizione, nella grande epigrafe del monumento, di cui rimanevano solo alcuni frammenti, è stata ricostruita completamente durante il restauro
curato da Jules Formigé, grazie alla menzione fattane da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia
(III, 133 segg.).
Il testo riporta tutti e 46 i nomi delle tribù sconfitte in ordine cronologico e geografico ed è affiancato da due
bassorilievi della "Vittoria alata". Parimenti visibile è il "trofeo" in senso stretto, ossia una raffigurazione
delle armi conquistate ai nemici e appese ad un tronco d'albero. Ai due lati del trofeo sono raffigurati coppie
di prigionieri galli in catene.
«All'imperatore Cesare Augusto, figlio del Divo Cesare, Pontefice Massimo, nella quattordicesima acclamazione
imperatoria, nella diciasettesima tribunicia potestà, il Senato ed il Popolo Romano [dedicarono] poiché sotto
la sua guida e i suoi favori tutte le genti alpine che abitavano dal mare superiore all'inferiore vennero sotto
l'imperio del Popolo Romano. Le genti alpine vinte sono i Trumplini, i Camuni, i Venosti, i Vennoneti, gli
Isarci, i Breuni, i Genauni, i Focunati, le quattro tribù dei Vindelici, i Cosuaneti, i Rucinati, i Licati,
i Catenati, gli Ambisonti, i Rugusci, i Suaneti, i Caluconi, i Brisseneti, i Leponzi, gli Uberi, i Nantuati,
i Seduni, i Varagri, i Salassi, gli Acitavoni, i Medulli, gli Ucenni, i Caturigi, i Brigiani, i Sogionti, i
Broduonti, i Nemaloni, gli Edenati, i Vesubiani, i Veamini, i Galliti, i Triullati, gli Ectini, i Vergunni,
gli Egui, i Turi, i Nematuri, gli Oratelli, i Nerusi, i Velauni, i Suetri» (trad.).
La via romana nel nostro territorio (2)
Provenendo da est, sotto la collina delle Grangie, la strada romana non attraversava in linea diritta la nostra piana, da Capo Don ad Arma,
poiché la fiumara di Taggia era alla sua foce una specia di fiordo, un porto-canale, sulla cui sponda sinistra pare
esistesse, fin dai tempi della guerra sannitica, un paese marinaro.
Quando nel 1839-1840 si eseguirono sterramenti, il Can. Vincenzo Lotti, appassionato storico, esaminate le grandiose rovine scoperte
presso il Capo S. Siro, dichiarava vera sede di Costa Balena, ossia della mansione ed annessa città, il Capo Don.
Il ritrovamento viene descritto nei particolari della sua Relazione stampata sull'Espero di Genova il 16 aprile 1842 e sulla
Gazzetta Piemontese il 3 giugno 1842.
I Romani non potevano certo costruire un enorme ponte sul porto-canale, oltretutto la zona era alquanto paludosa, e quindi la strada,
scendendo dalla Mansio di Costa Balena, proseguiva nella valle verso nord per circa un chilometro fino alla regione delle Pescine.
Per rendere più sicura e protetta dalle inondazioni quella zona, fecero quindi un ponte, e al di là del torrente alzarono
un terrapieno. Il termine la levata si trova citato in Viaggio di Davide Bertolotti nella Liguria Marittima, Tomo I, pag. 201,
termine usato per un rialzo, un rilievo. Anche nel territorio di Arma si utilizzò questo nome, e infatti Levà
denomina ancora oggi detta regione.
La strada scendeva quindi in via S. Francesco, seguendo, molto probabilmente, il torrente Beglino, piegando poi verso via C. Colombo,
nella strada della Cornice e infine si dirigeva trasversalmente verso Arma, in Vico Romano, presso la casa Anfossi-Imperiale,
dove sorge attualmente un Ristorante.
Passava quindi in Arma vecchia, dentro il Villino Vivaldi e sotto la Villa Comanedi, ove esiste ancora un tratto impraticabile, pieno di rovi e di sassi.
La strada qui aveva un percorso vizioso perché ostacolata da una collina rotondeggiante, la collina dell'Arma, la cui
importanza storica rimonta ai Liguri preistorici. Sorpassata la collina, su cui i Romani costruirono una Fortezza (Torre Pernices), al di sotto
della Fortezza Saracena, la strada scendeva verso
la via a mare di Bussana, dove sorge uno Stabilimento Balneare.
Nel punto di svolta della strada militare sorgeva una fontana (sormontata fino agli anni '40 da un arco romano antichissimo)
che veniva alimentata dal Rio Fonti, e alla quale si abbeveravano anche gli animali.
Come si evince da queste testimonianze, non c'è stato alcun rispetto delle vestigia romane nel nostro territorio, anzi, sembra che
l'impegno sia stato profuso per cancellare ogni traccia storica.
Note e Bibliografia: