« La memoria è una mappa criptata il cui codice d'accesso è la volontà di ricordare »
Arma ha origini antichissime, come abbiamo già scritto e come tutti i residenti del Comune dovrebbero
conoscere. (Si presuppone che gli abitanti di una città, e in special modo gli amministratori, siano a conoscenza delle memorie storiche dei luoghi in cui vivono).
Il periodo di maggior splendore fu probabilmente in epoca romana.
Infatti, sulle sponde del fiume (torrente) chiamato "Tavia" o "Tabia" (con Tabia fluvius o Tavia fluvius era indicato il nome del fiume, in latino fluvius) sorgeva una "stazione" romana.
Questa "stazione" è menzionata sulla "Tavola Peutingeriana" con il nome di "Costa Bellene".
Le "stazioni", come scrive lo storico taggiasco Lorenzo Reghezza, "dovevano servire all'accampamento di 20, 30 mila uomini in fine di ogni marcia, e perciò dovevano
trovarsi in posizioni adatte e ad una conveniente distanza l'una dall'altra. Vi si radunavano e conservavano le derrate necessarie
per l'approvvigionamento dell'esercito" (*).
Possiamo quindi affermare, con certezza, che Taggia non sorse sulle sponde del "Tabia fluvius", alla foce, perché
non risulta in alcun documento storico che lì ci fosse anche una "città" con quel nome:
sulle rive del "Tavia fluvius" (attuale zona del Capo Don) sorgeva
un porto fluviale romano, con abitazioni e depositi, quindi il termine Tabia o Tavia
si riferiva al fiume (è Taggia che prenderà il nome dal fiume e non viceversa).
Il prof. Nilo Calvini, lo storico avv. Paolo Accame, e altri, confermano che "[...] nessuna memoria si ha dell'esistenza di Taggia alla foce del fiume [...] gli itinerari marittimi
ricordano soltanto un Tavia fluvius e non un locus (località, luogo)".
Ma da dove veniva il nome "Tabia"? Qual è l'etimologia corretta?
In Veneto, nel bellunese, si usa ancora oggi il termine "tabia" o "tabià" per indicare un fienile, un deposito di attrezzi agricoli
e di prodotti dei campi.
La base Tabia, da cui deriva la dizione locale Tàgia, potrebbe costituire, in via ipotetica,
una forma alterata del termine latino tabula nel senso di "estensione di terreno" (G. Petracco Sicardi), ma sembra più
plausibile trattarsi appunto di un'espressione di origine preromana.
Con il nome di "Tabia" (e poi "Tàgia") venivano probabilmente indicati i depositi agricoli, per il sostentamento degli oltre 20 mila soldati romani
che in caso di necessità sostavano nella "stazione" di Costa Bellene.
I romani indicavano le strade dell'Impero sugli Itinerari. Oltre all'Itinerarium Provinciarum, attribuito da alcuni a
Severo e da altri a Teodosio, esisteva l'Itinerarium Maritimum che indicava le vie marittime.
Gli originali degli Itinerari erano custoditi nel "Milliario Aureo" sotto il tempio di Saturno in Roma.
Gli Itinerari, data
la loro imperfetta compilazione, si ritengono pubblicati ad opera di privati. Sono copie realizzate
in date molto lontane tra loro e ogni interpretazione personale va quindi ponderata con rigore storico.
[ Nell'Itinerarium Provinciarum al punto 295/7 viene indicato Costa Balenae ]
I romani e i viaggiatori antichi in generale non usavano carte stradali né mappe.
Probabilmente le carte esistevano, ma erano documenti speciali di alcune
biblioteche, erano difficili e care da copiare e non venivano usate. Comunque
il viaggiatore del sistema stradale romano doveva avere un'idea di dove stesse
andando, di come arrivarci, di quanto tempo ci volesse. Per questo esisteva
l'itinerarium. In origine era una semplice lista di città che si incontravano
lungo la strada. Poco dopo apparvero le liste generali, che comprendevano le
altre liste. Per dare ordine e maggiori spiegazioni, i romani disegnavano dei
diagrammi di linee parallele che mostravano le ramificazioni delle strade. Parti
di questi diagrammi venivano copiati e venduti ai viaggiatori. I migliori avevano
dei simboli per le città, per le stazioni di sosta, per i corsi d'acqua e così
via. Questi itinerari però non possono essere considerati mappe, perché non
mostrano le forme del terreno.
L'Itinerarium Provinciarum (in latino: Antonini Itinerarium) è quindi un registro delle stazioni
e delle distanze tra le località poste sulle diverse strade dell'Impero romano,
con quali direzioni prendere da un insediamento romano all'altro.
La redazione che ci è stata tramandata risalirebbe al periodo di Diocleziano (fine
del III secolo-inizi del IV), ma la sua versione originale viene solitamente datata
agli inizi dello stesso III secolo (probabilmente sotto l'imperatore Caracalla, da
cui avrebbe ripreso il nome), sebbene data e autore non siano stati definitivamente
accertati. Ma sono tutte supposizioni, perché di certo non c'è nulla.
L'Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti fu iniziato nel 217 d.C. Venne stampato per la prima
volta nel 1521 e, dopo molte ristampe, sopravvive ancora oggi.
[ Nell'Itinerarium Maritimum viene indicato al punto 503, 2 e 3, un fiume (Tavia fluvius) ]
La Tavola Peutingeriana è una specie
di carta geografica, in cui non appare il "Tabia fluvius", né una "città" dal nome "Tavia" o "Tabia", ma "Costa Bellene".
La "Tavola Peutingeriana" o "Tabula Peutingeriana" è una copia
del XII-XIII secolo di un'antica carta romana che mostrava le vie militari
dell'Impero. Porta il nome dell'umanista e antichista Konrad Peutinger, che la
ereditò da un suo amico. La Tavola non è una proiezione cartografica, quindi il
formato non permette una rappresentazione realistica dei paesaggi né delle
distanze. La carta va considerata come una rappresentazione simbolica, una sorta di diagramma
come quello di una metropolitana, che permetteva di muoversi facilmente da un
punto ad un altro e di conoscere le distanze fra le tappe, e non voleva offrire
certamente una rappresentazione fedele della realtà.
La "Tavola" è attualmente conservata presso la Hofbibliothek (Biblioteca Nazionale Austriaca) di Vienna,
e detta per ciò Codex Vindobonensis.
Nel 2007 l'UNESCO ha inserito la "Tavola
Peutingeriana" nell'Elenco delle Memorie del Mondo .
Per approfondimenti consultare questa pagina .
[ In questo particolare della Tavola Peutingeriana (clicca sulla miniatura per ingrandire) viene indicato Costa Bellene (al centro) ]
Lo storico romano Tito Livio, nel suo "Ab Urbe Condita",
scrive che l'unica battaglia storicamente rilevante, combattuta nella nostra zona,
fu quella del Console Lucio Emilio Paolo (Lucius Æmilius Paullus) che, nel 181 a.C., sottomise i Liguri Ingauni e Intemeli.
Il Console Lucio Emilio Paolo
a inizio primavera del 181 a.C., dopo diversi scontri con i
Liguri del Ponente, durante una tregua concordata con gli Ingauni, venne accerchiato, colto
di sorpresa e stretto d'assedio dai Liguri che erano convenuti in gran numero da ogni parte.
Il Console, costretto alla difesa, aveva chiesto rinforzi a Roma.
Il Senato, non disponendo in quel momento di legioni, ordinò che si reclutassero milizie di
fortuna, che si inviassero due legioni di cittadini romani e che s'imponesse "...ai soci latini
un contingente di quindicimila fanti e ottocento cavalieri. Furono creati duumviri navali, C.
Matieno e C. Lucrezio, ai quali furono armate delle navi...".
In seguito a battaglie cruente, condotte per terra e per mare, il Console Lucio Emilio Paolo
riuscì a sconfiggere definitivamente i Liguri.
"In quel giorno furono uccisi quindicimila Liguri e fatti prigionieri duemilacinquecento... Dal
driumviro C. Matieno furono catturate trentadue navi."
Secondo molti storici (tra cui insigni studiosi locali come il prof. Nino Lamboglia, il prof.
Nilo Calvini, il dott. Vincenzo Donetti, il dott. Domenico Fornara, Massimo Ricci, Biagio
Boeri) la battaglia finale si svolse proprio nel nostro territorio, che segnava il confine
fra i Liguri Ingauni e Intemeli e dove, per affrontare i Romani, si erano radunate tutte
le tribù Liguri dei monti.
Arma possiede una eccezionale documentazione di reperti preistorici, tra cui i resti dell'uomo di Neanderthal, il primo uomo
sapiens europeo.
Il nome "Arma" (dal toponimo balma, barma), con cui gli antichi Liguri indicavano una grotta,
costituisce un patrimonio linguistico arcaico, che risale a migliaia di anni fa e per estensione ha
connotato tutta la costa, la valle Armea e la piana di Arma.
La narrazione storica non deve riferirsi al territorio come è oggi, ma al territorio come era
in passato, e a come si è evoluto nel tempo.
In epoche remote non vi erano altri confini se non quelli naturali e quelli legati a primitivi insediamenti umani.
Il promontorio dei Castelletti, con i reperti romani del castellum e della
Torre Pernices, la via Julia Augusta,
la "chiesa-grotta", uno dei pochissimi santuari rupestri liguri, una delle prime chiese della
Liguria costiera, probabile luogo di monachesimo eremitico e balmitico di origine orientale,
attestano l'importanza del tratto costiero di Arma in epoca romana.
I Romani erano molto precisi nell'attribuzione dei nomi e il fatto che denominassero la nostra
località col toponimo "Costa Balena" significa che si riferivano non a un singolo luogo, ma ad
una intera costa, quella che si estendeva dal "Giro del Don" (o Punta S. Erasmo) alla "Punta
Marina", non a caso due località che conservano resti di insediamenti romani.
La costa era molto importante perché offriva ben due ripari per le
imbarcazioni (porto fluviale del Tabia fluvius) e il porto naturale (riparato dai venti di libeccio)
compreso fra Punta Marina (foce dell'Armea) e il promontorio dei Castelletti (Grotta dell'Arma).
Questa interpretazione del toponimo è avvalorata anche dallo storico locale Vincenzo Donetti.
Il Donetti riteneva che Costa Balena avesse questa denominazione proprio in riferimento alla grotta
dell'Arma che nel golfo aveva una posizione centrale e ricordava la bocca spalancata di una balena.
L'aspetto del promontorio anticamente era molto diverso da quello attuale: davanti alla grotta non
vi era né il muraglione, né la piazzuola. La grotta si estende da sud-ovest
a nord-est ed ha la forma di un ferro di cavallo; l'ingresso era rivolto verso Arma,
e vi si accedeva agevolmente solo da est, dal pianoro su cui giungeva la via Julia Augusta per aggirare
il promontorio dei Castelletti (attuale apertura d'accesso per gli scavi archeologici).
La consistenza della puddinga arenaria, soggetta a numerose frane, coprì in seguito a varie
alluvioni l'accesso principale.
La volta della grotta, a precipizio sul mare, in epoca romana sporgeva talmente
che al di sopra di essa passava la via Julia Augusta (dato confermato dal prof. N. Lamboglia, fondatore
dell'Istituto Internazionale di Studi Liguri, il quale aveva individuato nella roccia le tracce delle
"picconate" date dai romani, durante la costruzione della via consolare). La grotta superiore presentava
a sud un'apertura più ampia che sovrastava l'altra grotta (sommersa) entro la quale "entrava" il
mare. Il fondale era molto profondo e consentiva l'attracco di navi.
Questo aspetto particolare del promontorio poteva apparire ai naviganti sotto costa come la bocca di una enorme
balena, soprattutto quando il mare era agitato e spumeggiando rimbombava cupamente nella grotta inferiore.
In questa località costiera vi era grande abbondanza di acque dolci. Le sorgenti del Don, di Rio
Beglini e quelle di Rio Fonti dei Castelletti offrivano facili approvvigionamenti di acqua, in
prossimità della riva.
Dalle ubertose campagne circostanti provenivano prodotti alimentari di ogni genere.
Il territorio garantiva scorte indispensabili ai naviganti. Fiorivano i commerci, i Liguri
vendevano non solo pellicce, formaggi, miele, grano, olio, vino, ma anche cesti, cordame,
laterizi di produzione locale (mattoni, tegole, anfore, giare, pentole d'argilla e canalette
per gli acquedotti).
I Saraceni occuparono il promontorio, ma la lega Ligure-Piemontese e Provenzale riuscì a cacciarli.
Nella prima metà del XIII secolo, i conti di Ventimiglia, nobili Guelfi, signori di Sanremo, di Arma, di Bussana,
di Badalucco, di Montalto, di Carpasio e di Triora, avevano concesso ad Arma la "Carta Libertatis", ossia le
libertà comunali di amministrarsi, di avere un parlamento, di eleggere un proprio sindaco e di esercitare
la giustizia (Atto notarile del 1260, trascritto sul "Liber Jurium" del Comune di Genova).
Il governo ghibellino di Genova, in espansione verso il Ponente, dopo sette anni di guerre contro i Conti di Ventimiglia,
li ridusse in povertà costringendoli a vendere parte dei loro beni.
Arma e Bussana furono cedute a Genova.
Baliano Doria, nobile ghibellino, ammiraglio della flotta genovese, nel 1270 rase al suolo Arma, che continuava ad
essere guelfa, e ne disperse i suoi abitanti. Non attaccò mai Taggia, perché governata da famiglie ghibelline come i Curlo.
Nonostante le distruzioni, le attività marittime non furono mai abbandonate.
(*) Da "Appunti e notizie sul Territorio di Arma e Taggia", Lorenzo Reghezza, 1908-1912.
Testi: Prof. Laura Garberoglio, Storica e Scrittrice, Arma.
Intestazione: Prof. Maria Luisa Fonte, Liceo Ugo Foscolo, Pavia.
ATTENZIONE: i testi contenuti in questa pagina sono soggetti a copyright.