Lo storico e avv. Paolo Accame, nel 1907, scriveva una "Memoria storico-giuridica" in difesa del Comune di
Riva Ligure, molto dettagliata, dal titolo "Riva e Taggia nei loro confini", in seguito ad una
diatriba sui confini territoriali di competenza ai due Comuni.
A noi interessa particolarmente perché si parla (anche) di Arma e poi perché, ammettiamolo,
l'avv. Accame ridimensiona di molto l'importanza che aveva Taggia tempo fa, importanza che qualche ignorante ci ha fatto credere per secoli e che ancora oggi
la parte arrogante di Taggia crede, per convenienza e presunzione, alle storielle propinate
dall'ignorante di turno, che non conosce la storia, il quale ha anche la faccia tosta di sostenere simili menzogne.
Da questo documento si evince che perfino l'avvocato Fossati, della controparte (Taggia), mentiva, negando l'evidenza.
Se avrete la bontà e la pazienza di leggere fino alla fine queste pagine, apprenderete che Taggia ha oppresso e vessato per secoli Riva Ligure e Arma.
Che a Taggia "regnava" il "mal governo".
Che gli uomini di Taggia erano violenti e bugiardi, e che devastavano le campagne degli abitanti di Riva, e altro.
Questi fatti non sono inventati, sono tutti documentati dall'Avv. Accame.
Prefazione
I due Comuni di Riva Ligure e Taggia convennero di nominare una commissione arbitrale, di tre membri,
per riferire sulla questione dei loro confini territoriali.
Il terzo arbitro, capo del collegio, dovea essere scelto dai Sig. Sottoprefetto di San Remo.
Costituitasi la Commissione, dopo varie sedute, il commendatore Gerolamo Rossi, arbitro eletto dal
Sig. Sottoprefetto, presentò, alla stessa, la sua relazione, che fu, in massima, fatte però le
opportune riserve, per i maggiori diritti di Riva, accettata dal comm. Paolo Accame, arbitro,
per quest'ultimo comune.
L'arbitro di Taggia, avv. Benedetto Fossati, estese una controrelazione, donde la necessità di
una replica, da parte del comune di Riva, che a me si volle affidata.
Dei molti documenti di Riva, buona parte dei quali raccolti dalla diligenza dell'egregio avv.
Gatti, per lo addietro sindaco, io ho unito, a questa memoria, i più importanti, insieme ad altri,
da me rinvenuti, nell'Archivio di Stato, in Genova.
Dei documenti delle due parti, gli arbitri presero conoscenza, nelle varie sedute, avendo e
l'arbitro di Riva e quello di Taggia, a lungo discussi i titoli e documenti di ciascheduno dei due
comuni, di taluni dei quali, si diede, persino, lettura. Ecco perché, nell'ultima seduta, non
si credette di aprire i volumi dei documenti, già noti, nel loro complesso, per le precedenti
discussioni. Questa è la verità.
Capitolo 1
La memoria che, nell'interesse di Taggia, l'avvocato Fossati ha dato alle stampe, presuppone
l'esistenza di un'altra Taggia, ma, però, con nome diverso, alla foce del fiume Taggia (Tacua,
Tavia, Tabia), già sino dal quarto secolo dell'era volgare. Da quale criterio storico, critico
è giuridico sia partito l'avv. Fossati non è dato sapere; è però ovvio il riflesso che, con tali
gratuite supposizioni, sarà facile dimostrare che la Villa Matuziana o Porto Maurizio, ad esempio,
non erano altro che Taggia, con tali nomi indicata. Nessuna memoria si ha dell'esistenza
di Taggia, alla foce del fiume, anzi, tutti gli antichi itinerari marittimi, ricordano soltanto,
il Tacua (o Tavia) Fluvius non locus.
Del resto, da quanto andremo esponendo, verrà dimostrato, come il territorio di Taggia non giunse
al mare, né dalla sponda destra, né dalla sponda sinistra della sua fiumara, se non dopo le
annessioni di Arma, Bussana e Riva.
Tabia ergo medii aevi, disse il dottissimo padre Baretti, e nemmeno dei primi secoli del medio evo.
Nè è una prova la sua stessa chiesa dei SS. Giacomo e Eilippo, che non fu mai pieve, governata da
un proepositus, coi suoi clerici, poi canonici, che molti autori credono fondazione dei benedettini
e non anteriore al secolo duodecimo (1). Le pievi, come vedremo, erano centri importanti, ai quali,
sino dai più remoti tempi, presiedette un arciprete.
Le chiese non plebane, dette anche cappelle, basiliche o chiese, semplicemente, fossero governate
da un rector o minister, o da clerici, con un proepositus, erano chiese minori, di secondaria
importanza. È pregio, di questa esposizione, riferire quanto osserva il Belgrano, a riguardo
dell'antichissima collegiata di S. Maria di Castello, in Genova ed a proposito della bolla di
Innocenzo II, relativa alle dissensioni, tra la cattedrale di S. Lorenzo e la detta chiesa
di S. Maria: « che cosa ci afferma... (cioè la bolla)? Che nella citata chiesa (S. Maria
di Castello) erano allora un preposito ed un collegio canonicale, il che vuol dire che S. Maria
di Castello pareggiavasi alle chiese sopra numerate (cioè chiese semplici) ed anche ad altre di
ancor minore importanza, giacché quasi tutte le Cappelle furono allora collegiate ».
Né il preposito avea cura di anime, né esercitava uffizi parrocchiali, era solamente il capo
della canonica e perciò, come, talvolta, nei bassi tempi, venne appellato, il prior canonicorum (2).
Quindi l'esistenza di una chiesa, con preti ed un preposito, in Taggia, ben lungi dallo attestare,
come pare, voglia credere, l'avv. Fossati, una preminenza speciale, attesta invece, una condizione
di fatto, comune a tanti luoghi di nessuna importanza.
Ma l'avvocato Fossati, per dimostrare l'antichità di Taggia, si fa forte della leggenda di S.
Siro. È da credere che se la necessità del suo grave assunto non lo urgesse, l'egregio
uomo non sarebbe ricorso ad una fonte, storicamente, così limacciosa.
Con questi chiari di luna, col progresso della critica, voler ricorrere ai particolari di una
leggenda sacra, come giustificazione di un punto storico, è tale sforzo, che, da sé solo,
basta a dimostrare la povertà, anzi l'assoluta mancanza di altri elementi a proprio sostegno.
Per giudicare di queste leggende o del loro storico valore, veggansi le opere del mio onorando
collega, il chiarissimo padre Savio, sulla leggenda dei SS. Faustino e Giovita (3) e su quella
di S. Siro, vescovo di Pavia (4).
Bene osserva il Rossi, a riguardo di altra di esse: « Chi
evvi mai che ignori che di cosifatti racconti si rabberciarono senza numero nel medio evo, o
da pii credenti che lasciavano libero il freno agli slanci di un cuore devoto e non rare volte
da astuti che avevano grande interesse a fabbricarli ed a spacciarli ?... Noi siamo di
opinione che la storia ecclesiastica dei primi secoli della chiesa ligure debba dai fondamenti
rifarsi; e vagliate da una mente critica le numerose leggende che vennero sin qui a danno della
verità ingrossando enormi volumi, ripigliare su solide basi le fondamenta di essa » (5).
E per quanto riguarda la leggenda di S. Siro di Genova, niun dubbio che essa è posteriore al
mille, vale a dire, fu compilata sette od otto secoli dopo S. Siro. Ciò è dimostrato e con
argomenti storici e con argomenti filologici (6).
Di questa leggenda, abbiamo due versioni. Una, la più antica pubblicata dai Bollandisti, è,
generalmente attribuita al vescovo Oberto, fra il 1052 ed il 1078. In esso, soltanto, si fa
menzione di Taggia. Narra tale leggenda che S. Siro, spedito da S. Felice, vescovo di Genova,
ad Ormisda, che era corepiscopo nella villa Matuziana, liberò la figlia di Gallione, agente del
fisco, dal diavolo, da cui era ossessionata. Donde la riconoscenza di Gallione, il quale,
sapendo che ogni fatica merita premio ed essendo, quantunque semplice agente del fisco, un
quid medium, fra il conte ed il marchese, fece cospicui doni a S. Siro.
« Curtem que tabia nuncupatur devotissime obtulit. »
Quand'anche si dovesse accettare, per oro di genuina zecca storica, tale ingenuità e non si volesse
ritenere che il nome di Tabia fosse dato, alla corte donata, dal fiume Taggia, la conseguenza
sarebbe che, verso il 1050, Taggia era una semplice corte. La corte era uno spazio di terreno
rispianato (aia) avente annesso un orto ed un verziere, rispondente al rus romano: oggi si direbbe
cascina, cascinale.
Quando molte corti e ville si riunirono,
si ebbe il villaggio (7). E, con tuttociò, l'avvocato Fossati fissa il Senatus populusque Tabiensis
(S.P.Q.T.) al 1071 !! Queste sigle vennero assai dopo, poiché esse troppo
preludiano all'albagia spagnolesca, che inquinò, più tardi, tutta la vita pubblica dei nostri
politici e municipali reggimenti. Senonché, come accennammo, vi è un'altra leggenda di S. Siro,
posteriore al secolo XIII. Essa è, indubbiamente, fattura del beato Giacomo
da Varazze, arcivescovo di Genova, il quale corresse l'antica e, certamente, se qualche cosa
vi tolse, lo fece per buone e valide ragioni. Orbene, Taggia sparisce, da tale leggenda.
Esaminiamola: S. Siro... ad locum qui tune maticiana dicebatur nunc autem sanctus
romulus appellatus iussus (cioè per ordine di S. Felice vescovo di Genova) accessit. Erat
autem illis in locis ormisda eorum episcopus (ossia coepiscopus) a sancto felice ordinatus.
Vir quidem fide catholicus et virtutibus adornatus qui sanctum syrum debito cum honore
suscepit. Erat in partibus illis vir quidam magnum opum Gallo nomine, fisci exactor qui
filiam habebat carissimam a dyabolo tunc obsessam. Sanctus autem syrus a patre rogatus
demonem expulit et ipsam pristine sanitate donavit. Pater vero ipsius villam quandam per
quatuor millaria a maticiana distante... cum omnibus pertinentiis beato syro suisque
successoribus tradidit possidendam... Deinde sanctus felix eius obedientiam et virtutum
augumenta considerans eum ad se redire precepit (8).
Adunque, di Taggia, ne verbum quidem. Eppure, ai tempi
del beato Giacomo, Taggia, già passata nel dominio di Genova, non era del tutto
luogo oscuro e negletto.
Evidentemente, su tale narrazione, si fonda l'uffizio proprio di S. Siro, della chiesa
di Ventimiglia, citato dal Fossati, uffizio, però, che la misera curtem converte in
oppido tabiensi !!
Ora esaminando tale leggenda, lasciando da parte la probabile confusione, in qualche punto
fatta, coll'altro S. Siro, vescovo di Pavia, ne appaiono subito i lati grotteschi ed i
gravi errori, i quali le tolgono ogni valore, come documento storico. Si dice
che Gallione donò villam quandam al beato Siro; eiusque successoribus.
Evidentemente, qui si parla dei successori di S. Siro, nel vescovato di Genova, ma
siccome, in quell'epoca, Siro non era vescovo, tant'è vero che la cronaca dice che S.
Felice, vescovo di Genova, lo richiamò a sé, le parole eiusque successoribus ben fanno
sorridere, a meno che non si ritenga che Gallione fosse dotato di spirito profetico e già,
sin d'allora, prevedesse la futura elezione di Siro, a vescovo, ma ciò la leggenda non
dice e nemmeno l'officium proprium della chiesa ventimigliese. Inoltre, per non rilevare
altre enormezze storiche, la leggenda dice, e l'avvocato Fossati, pur troppo, ripete,
che S. Felice era il terzo vescovo di Genova. Ciò si può perdonare all'autore della
leggenda, che scrisse tanto tempo dopo S. Siro, in un'epoca in cui le notizie storiche
non abbondavano, certamente, ma non si può perdonare alla dottrina dell'avvocato Fossati.
Se egli avesse letto quanto scrissero il Belgrano, il Grassi (9), il Promis, senza parlare
di altre opere successivamente date alle stampe, avrebbe visto che Felice era non il terzo
ma il sesto vescovo di Genova, per lasciare altri nomi venuti in luce dopo. Diamo l'elenco
dei primi vescovi genovesi.
Diogene - ann. 381.
S. Valentino - fine sec. IV.
S. Salomone - prima metà secolo V.
Pascasio - ann. 451.
Eusebio (?) - ann. 465.
S. Felice - fine sec. V.
S. Siro - dopo il 523.
Ecco qual fede storica meriti la leggenda.
Continuiamo ad esaminare la memoria Fossati, in relazione allo sforzo evidente di esagerare
l'importanza di Taggia ed ingrandirne il territorio.
Nel 1228 Taggia, con altre terre liguri, fu venduto ai genovesi, dai marchesi di Clavesana. Taggia
come quasi tutte le altre terre, secondo l'atto di vendita, consiste del castrum e di
una villam. Villa, non è qui presa nel senso francese di ville, né in
quello spagnuolo di villar. Villa è l'antica corte, che, per successive aggregazioni,
è diventata un villaggio, di una certa importanza e non più. Non è ancora il
burgum e tanto meno l'oppidum. Se così non fosse, sarebbe necessario ammettere
che Castellaro e Dolcedo, pur comprese nella vendita, castrum et villam Castellari, tal quale come
Taggia, et villam Dulceti, questa senza castro, fossero anch'esse città. È, adunque,
la villa di cui tiene parola il Ducange: « Villas hodie non quomodo latini praedia rustica,
sed complurium in agris mansionum vel aedium collectionem appellamus, villa dicitur a vallis,
quasi vallata eo quod vallata sit solum vallatione vallorum et non munitione murorum ».
Taggia crebbe dopo le annessioni di Arma, Bussana e Riva,
ma ciò malgrado, il Bracelli, che
scrisse nell'anno 1448, descrivendo la riviera ligure, così ne parla: Tabia, duo millia
recedens a mari, exiguum oppidum, sed vitis iam non obscurum (10). Oppido,
quindi esiguo, non del tutto oscuro, grazie ai suoi vini generosi.
E Taggia, malgrado il S.P.Q.T., per molto tempo, rilevò dalla podestaria di Porto Maurizio.
All'atto dei 10 giugno 1228, con cui Sifredo di Andora, procuratore dei Clavesana, scioglie gli
uomini di Taggia, dal giuramento di fedeltà, vediamo intervenire Bonvassallo di Aldo, giudice,
ossia vicario, di Porto Maurizio. Molte altre prove si potrebbero addurre di tale soggezione,
ma la via lunga ne sospinge, ci limitiamo a fissare la data dell'epoca, in cui Taggia fu
sciolta da tale dipendenza e fu eretta in podesteria autonoma. Il primo decreto è dell'anno 1452,
il definitivo del 1459(11).
E dopo ciò, qual valore ha il ricordo, messo innanzi dall'avvocato Fossati, dell'approvazione,
fatta dai genovesi, delle antiche convenzioni di Taggia ? Tale linea di condotta fu, da
Genova, tenuta verso tutti i paesi liguri, che, ad essa, si andavano, gradatamente, assoggettando.
Le antiche convenzioni di Taggia, sono approvate nel 27 novembre 1339, quelle di Porto Maurizio,
nel 9 novembre, dello stesso anno (12), quelle di Lingueglia, nel 1350 (13), quelle di Pietra,
Giustenice e Toirano, nel 1386, subito dopo l'acquisto fattone, per cessione alla repubblica,
dal papa Urbano VI (14), e via dicendo. Del resto, se una parola di più fosse necessaria,
basterebbe il semplice confronto di Taggia, con Diano, per dimostrare che cosa fosse la villa
Tabie. Soggetti entrambi i due paesi ai Clavesana, tal rimangono sino al 1228, ma Diano già
nell'anno 1172, ottiene privilegi e concessioni, che mai furono largite a Taggia (15).
Dimostrato così qual fosse Taggia, negli antichi tempi e ridottane l'importanza, alle sue giuste
proporzioni, rispondenti alla verità storica, passiamo a dire una breve
parola, sul terreno litoraneo, situato sulla destra del fiume Taggia, come avevamo promesso di fare,
nell'inizio della nostra esposizione. Breve parola, però, sia perché tale ricerca non interessa il
comune di Riva, che come sussidio di prova, per combattere le pretese enormi di Taggia, sia perché
la questione si compenetra, necessariamente, coll'altra, relativa al territorio sulla sponda sinistra.
Il contado di Albenga, abusivamente, detto, anche, marca di Albenga, si spingeva, ad occidente,
sino al fiume Armea (Armeanum, Armedanum, Flumen Alme, ecc.), e questo era, eziandio, l'antichissimo
confine occidentale della diocesi, poiché è canone di verità storica, che le circoscrizioni
ecclesiastiche, nel loro inizio, collimarono, perfettamente, con quelle politico-amministrative,
dei popoli. San Remo, situato al di là del fiume Armea, non venne che assai
più tardi, sotto la giurisdizione del mitrato albinganese.
S. Remo era un'oasi del contado di Ventimiglia, sottomessa al vescovo di Genova. Oltre il fiume
Armeria, cominciava il contado di Ventimiglia. Entrambi i due contadi appartenevano alla marca
arduinica. Taggia, invece, obbediva ai marchesi di Clavesana, di stirpe aleramica.
Verso il secolo XII crebbero assai i luoghi di
Arma e Bussana, i quali formarono, successivamente, comuni separati e caddero, ben presto,
sotto la signoria dei conti di Ventimiglia. Ma una legge fatale sospinge i popoli; pur troppo
l'egemonia genovese s'andava imponendo a tutta la Liguria, nel 24 novembre e 11 dicembre 1259,
Pagano, marchese di Ceva e Veirana, sua moglie, figlia di Oberto, conte di Ventimiglia,
cedettero al comune di Genova mediatatem castri et ville alme cum iurisdictione, fidelitatibus
hominum, medietatem castri et ville buzane (16), ecc. Gli uomini di Arma e Bussana
giurarono fedeltà a Genova (17) e, fra i confini, assegnati al territorio loro,
uno, certamente, quello dal lato nord, è territorium tabie.
L'altra metà, ceduta a Ianello avvocato, da Bonifacio di Ventimiglia (18), poco tempo dopo,
passò pure ai Genovesi. Da questi atti, appare evidente come Arma e Bussana, fossero centri di
qualche considerazione. È menzionata la curia Alme, la giurisdizione di Arma, la chiesa
di S. Maria e vien ricordato Nicolò Visdomino, potestas Alme in Alma.
Arma avea, adunque,
un suo proprio podestà, Taggia, invece, non l'aveva.
Ed è eloquente assai quanto vollero ricordato gli uomini
di Arma, nel 7 agosto 1260, consacrandolo in quel rogito, con cui il loro procuratore
Emmanuele Pompeiana, giurava fedeltà a Genova.
E cioè: omnem libertatem iurisdictionem et bailiam quam dieta universitas et homines habent...
in eligendo et habendo potestatem in alma... et omnia raciones quibus homines alme omnes et singuli usi fuerunt in castro alme
vel eius districtu tenere ab antiquo (19).
Nel 1357, Arma e Bussana si unirono con Taggia ed in quell'anno, si stipularono le
« Conventiones inter comune Tabiae, Armae et Bussanae quoad modum reddendi ius per potestam Tabiae, et unio Armae et
Bussanae in uno comuni et potestaria » (20).
Allora soltanto, Taggia potè spingersi al mare.
Ecco dimostrato che il territorio litoraneo, situato sulla sponda destra del fiume Tabia, ultimo lembo
occidentale della marca di Albenga, non apparteneva a detta comunità.
Ed ancora una parola. Forte dell'annessione, Taggia tentò, anche da questa parte,
come tentò e tenta dal lato sinistro, di usurpare la giurisdizione ecclesiastica,
occupando la chiesa di S. Maria di Arma.
Ma insorse il prevosto di Bussana, Pietro Beccaruti e Taggia dovette ritirare le mal protese mani e rimettere la chiesa al vigilante
pastore, pagando, per giunta, le spese, in seguito a sentenza di Antonio de Sismondi,
vescovo di Albenga e delegato apostolico ad hoc.
Il fatto e la vittoria del buon diritto si vollero ricordare con una lapide, della quale trascrivo il tenore.
Memoria universis sit in Xpo fidelibus hic lecturis in perpetuum. Quod venerabilis D. Petrus Beccarutus qn. Joannis
de loco Cerianae Prepositus hujus ecclesie Bussane obtinuit ecclesiam Beate Marie, de Alma unitam
et annexam huic Ecclesie Bussane, contra et adversus partem aduersam Tabiensium, et sic unitam liberauit et
relaxari obtinuit sub perpetuo silintio per iustam sententiam R.mi in Xpo Patris.
D. D. Antonii de scismondis Dei gratia Episcopi Albinganensis et in hac parte Judicis et commissarii
Apostolici, scripta manu Corradi de Fabreriis Civis Aquen, anno MCCCCXXII die lune XII Xbris condemnata
in ea parte Tabien, in expensis et in signum iuste victorie et veritatis (21).
Ed ora volgiamo lo sguardo alla sponda sinistra del fiume Taggia.
Bibliografia:
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