Cap. 9 - Notizie su alcuni antichi pittori
Le notizie sui pittori che lavorarono nell'estrema Liguria occidentale sono assai scarse, piene di inesattezze e di contraddizioni; nondimeno
avendo trattato di tale argomento valenti critici e letterati liguri, passarono, sino a questi ultimi tempi, per verità ineccepibili, tutte le
inesattezze pubblicate sull'argomento.
Fu questa una conseguenza inevitabile dell'uso generalmente invalso presso i letterati, di scrivere relazioni o trattati su argomenti talvolta
oscuri e dubbiosi, di storia e di arte, senza possedere quelle necessarie conoscenze che solo si acquistano con assidue ricerche e con lunga pratica,
e che pur sono indispensabili per poter trattare con giusto criterio e competenza di tali materie. Prima origine degli errori e inesattezze
divulgate si è certamente la poca diligenza che si usò nell'attingere alcune notizie dalla Cronaca del Convento di Taggia, scritta nel 1622-1623,
dal Nicolò Calvi.
Ora, in seguito a varie scoperte di interessanti documenti esistenti nell'inesplorato Archivio Comunale di Taggia, benché le nostre ricerche
sieno state interrotte per motivi indipendenti dalla nostra buona volontà, abbiamo creduto di far cosa utile per la storia dell'arte nella
Liguria, col pubblicare l'esito di tali ricerche e studi. Ciò, specialmente allo scopo di dissipare certi errori divulgati, ma anche per apportare
un lieve contributo alla storia dell'arte in altre regioni.
Riporteremo dei brani di talune delle opere, le quali trattarono di tale argomento, e metteremo in evidenza le principali inesattezze che
furono dette in proposito.
Dal Vol. III dell'Opera « Descrizione di Genova e del Genovesato » (pagg. 34 e 35) ricaviamo le seguenti notizie, scritte dal Prof. Alizeri.
« Molti indizi ci guidano a sospettare che non pochi artisti della Germania vagassero per la provincia, operando a pubbliche e private richieste,
e alcun di loro vi alimentasse per qualche tempo una scuola. Sappiamo certo che un Giusto d'Alemagna dipingeva fra noi nel 1451, avendo lasciato il
suo nome nell'affresco della Nunziata, entro il Convento dei Padri Domenicani (Santa Maria di Castello in Genova). D'un altro alemanno che si nomava
Corrado, e lavorò in Taggia nel 1477, ci lasciò un cenno l'abate Spotorno, il quale pensa che da' suoi precetti uscisse pittore un P. Macari
domenicano, vissuto nel monastero di quel luogo.
« Ludovico Brea, che trovasi registrato al N. 26 della matricola col nome di Lodisius de Nicia fu l'unico dei nostri che in Genova
propagasse quello stile. La novità di esso, il lungo esercizio sia in città sia nella provincia, l'aver fatto allievi che poggiavano a gran nome,
diedero argomento a quell'errore che prese autorità dal Soprani (Elogi degli uomini illustri della Liguria; 1667) e trovò quasi credenza da
quell'esempio di critica che è l'abate Lanzi (Storia Pittorica, 1825). Gagliardamente lo ha combattuto lo storico della nostra letteratura,
mostrando che la successione artistica de' secoli innanzi... mal permette a Ludovico il vanto di progenitore, che anzi il suo stile fu seguito per
poco da' discepoli, i quali in breve si volsero ad altre imitazioni... Opina il suddetto Spotorno, ch'egli apprendesse l'arte in Taggia sotto
Corrado d'Alemagna insieme col P. Maccari, spiegando così quel sapor di tedesco che si vede ne' suoi dipinti, per cui scrive il Lanzi, che piuttosto
che seguace d'altra scuola si diria capo di scuola nuova ».
E lo stesso autore, nella sua opera « Notizie sui Professori di disegno in Liguria » pubblicata nel 1866, e nel Vol. III Scultura, a pag. 237, dice:
« Si sa d'un Padre Macarj non mediocre pittore che visse quivi (a Taggia) ed operò nel XV secolo; e parecchie o tradizioni o congetture, che
siano, mettono il Brea Nicese ad erudirsi da giovane sugli esempi di quel monaco. »
E qui osserviamo che il primo quadro fatto dal Maccari è del 1518, mentre l'ultimo eseguito dal Brea è del 1516 (cioè il quadro di S. Giorgio a
Montalto); per cui è evidente che sarebbe ben più ragionevole asserire il contrario, e cioè che il Maccari fosse scolaro e non maestro del Brea.
Dalla « Storia del Marchesato di Dolceacqua di G. Rossi, edita nel 1862, ricaviamo (pag. 113):
« Crede il chiarissimo P. Marchese che il Macarj, il quale avea vestite da giovane le assise domenicane, appartenesse all'ordine sacerdotale,
e che quindi venisse affigliato al convento di Santa Maria della Misericordia; e pare assai probabile ancora che il Macarj apprendesse in Taggia
l'arte della pittura da Corrado d'Alemagna ed avesse a condiscepolo Ludovico Brea di Nizza. Di questo pittore, scrive il Marchese, noi abbiamo la pala
ossia tavola nella cappella di S. Pietro martire nella chiesa del suo instituto in Taggia... L'anno in cui il Macarj prese a colorirla non è ben certo,
ma sempre dopo il 1522... Fecevi pertanto il Macarj un crocifisso con ai lati S. Domenico e S. Catterina, e dappiedi S. Pietro martire e S. Gerolamo.
Del merito di questo dipinto mal si potrebbe portar giudizio perché quella tavola fu oltraggiata dai barbareschi ».
Or si consideri quale affinità di stile può mai esistere fra le pitture del 1477, di un Corrado d'Alemagna, e quelle del 1523, del pittore fiorentino
De Rubeis, il quale, come ben si sa, è il vero autore del quadro erroneamente dal Calvi attribuito al Maccari. Ma non conoscendosi le pitture di un
Corrado d'Alemagna, possiamo confrontare il quadro del De Rubeis con quello di S. Mauro eseguito dal Maccari nel 1518 ai Molini di Triora, ed esistente
oggidì a Genova, nel Palazzo Bianco. Non occorre essere intenditori per saper scorgere l'enorme diversità di stile che esiste fra il vero
quadro del Macari e quello che erroneamente gli era attribuito.
Vedremo poi se è possibile che il Maccari apprendesse l'arte da Corrado d'Alemagna.
Il Calvi nella Cronaca del Convento, dopo aver parlato del legato di lire cento fatto da un certo Bart. Lupo nel 1474 alla cappella di S. Pietro Martire,
e del lascito di Domenico Oddo, alla stessa cappella, disse:
« Pallam autem illam delineavit R. P. D. Emanuel Macharius de Pigna. In illa est effigie D.N. Jesu Christi crucifixi, ad eius latus dextrum
depictus est B. Pater Dominicus, ad levium Sancta Catharina Virgo et martir, ad pedes autem Crucifixi a dextris sanctus Hieronimus pectus suum lapide
percutiens, sanctus autem Petrus Martir a sinistris. In incursione vero impiorum Turcarum furore satanico ac belluino contram Imagines istius altaris
impie debarchati sunt, et in faciebus pectoribus, et brachijs, securibus et alijs armis percusserunt ac deturpaverunt, nec aliud ab impijs illis
pariterque scelectis sperari potuit. Sed quod silentio praeterendum minime est cum ille p.b.r. ioco et irrisorie conspicilia ad faciem B. P. Dominici
finxisset, et de hoc facinore gloriam rediret, ipse post modum coecus effectus est, et sic diu usque ad finem vitae suae misere permansit, et
huius facti testes oculati adhuc vivi supersunt anno domini 1622 ».
Le iniziali R. P. D. del manoscritto dovevano inevitabilmente, interpretarsi per Reverendus Presbiter Dominus (Emanuel Macharius), invece furono
ben altrimenti tradotte per Reverendus Pater Dominicus! Or vedasi da che cosa dipenda talora la storia! Con questa errata interpretazione
si è fatto del prete Macario un frate domenicano, mentre invece il Calvi non lascia nemmen supporre queste novità. Infatti, egli dice che
ille presbiter diventò cieco, e lo rimase sino alla fine della sua vita; e benché la parola presbiter non si legga nella sua intierezza,
pure non si può a meno di interpretarla così nelle lettere p.b.r.
Del resto, dai numerosi atti nei quali trovansi indicati i nomi di tutti i frati esistenti nel convento, non risulta affatto che vi fosse fra quelli
un Emanuele né un Domenico Maccari. Ma è da osservarsi ancora, che se il pittore Maccari fosse stato veramente frate in questo convento, avrebbe
certamente lasciato almeno qualcuna delle sue opere nella chiesa di S. Domenico. Invece non è nemmen sua quell'unica tavola che la Cronaca gli attribuisce.
Il Calvi è caduto in un equivoco pel fatto che il Maccari ebbe a ritoccare il quadro di San Gerolamo dopo che fu danneggiato dai turchi (quando
s'introdussero nella chiesa del convento, e cioè il 10 giugno 1564). Tutto quanto racconta il Calvi ha l'apparenza di verità perché sembra riferirsi
a documenti, ma son documenti che il Calvi non lesse mai!
Esiste tuttora il testamento di Dom. Oddo (21 gen. 1522 notaro G.B. Ardizzoni) col quale istituisce erede la Cappella di San Gerolamo da fabbricarsi
nella chiesa del convento, e fra le altre disposizioni si legge:
« ... et anconam unam in qua impendatur ducatos 25... in qua pinguatur in medio Sancti Jeronimi a destris S. Dominicus a sinistris sancta
Katerina martir ».
Segue l'atto del successivo giorno 22 gennaio, relativo ai fidecommissarii testamentarii... aceptanti nomine et vice capelle sub vocabulo
Sancti Jeronimi fundande ecclesia conventus tabie.
Come si vede, il Calvi sbagliò persino il nome della cappella ch'era una volta intitolata a San Gerolamo e non a San Pietro Martire. A maggior prova
di ciò, riportiamo le prime linee dell'atto d'ordinazione del quadro stesso (24 marzo 1523, stesso notaro): pro capela Sancti Jeronimi.
In nomine domini amen. Venerabilis Dominus frater petrus de Dulcedo prior conventus tabie Jheronimus regetie et odoardus curlus tam quam
fide-commissarii testamentarii quondam dominici oddi de tabia venerunt ad infrascripta pacta et compositiones cum Magistro Raphaele de rubeis
pintores fiorentino q. nicolai tenetur et obligatus sit facere et pingere anconam unam... (pag. 123).
A quanto dice il Calvi, il pittore Maccari sarebbe ancora vissuto alcuni anni dopo di esser diventato cieco. È quindi evidente ch'egli
non poteva essere stato maestro del pittore Ludovico Brea, né scolaro del pittore Corrado d'Alemagna, perché bisognerebbe in allora credere,
ch'egli fosse vissuto più d'un secolo.
Può ben darsi però che il Maccari abbia eseguito qualche dipinto per la chiesa del Convento; sarà forse di quelli dei quali il Calvi non sa indicarci l'autore.
Jcon autem seu pallam altari quae est in multis quadris, fabricata fuit in Londini in Anglia, impensis nobilium D. D. Georgis et Raphaeli
fratrum de Ardizzonis.
Forse volle il Calvi indicare quel quadro che per lo stile alquanto diverso dagli altri fu poi attribuito a Corrado d'Alemagna?
La guida di Taggia edita nel 1906, erroneamente attribuisce a Corrado d'Alemagna il quadro della Misericordia, mentre già il Bres nelle sue « Brevi
notizie ecc. » aveva chiaramente dimostrato coll'atto 15 aprile 1488 (not. B. Curlo) e con buone considerazioni, che il quadro della Misericordia
è di Ludovico Brea, e che è appunto quello che il Calvi dice eseguito nel 1483 a spese di Francesco e Cristoforo fratelli Pasqua. E qui osserviamo
che in un altro equivoco cadde la guida nel dire che il quadro del Rosario fu pagato dai fratelli Pasqua, mentre lo stesso Bres provò coll'atto del
13 nov. 1512 (notaro Agost. Ardizzoni) che tale quadro fu fatto eseguire dai rettori della cappella del Rosario; e perciò non è da confondersi con
quello del 1483, pagato dai Pasqua.
Ma v'è ancora un altro errore che gli scrittori locali potevano tutti evitare, giacché avevano agio di meglio consultare la Cronaca del Calvi;
ed è quell'asserzione più volte ripetutasi: che il quadro di S. Lucia, S. Agata, S. Caterina da Siena ecc. siasi dipinto in Londra nel 1490
mentre si sa esser del Brea. Il Calvi dopo di averne fatta la descrizione soggiunge:
... religiosae personae, sub tertio habitu, sive de poenitentia B. Dominici Patris nostri, ex quorum elemosinis, opus illud completwn fuerat
anno domini 1490.
Ma questa data è indicata in modo forse inesatto, poiché nell'atto d'ordinazione 28 febbraio 1488 (not. Bart. Curlo) il pittore Ludovico Brea
s'impegnava di consegnare il quadro entro otto mesi dalla data dell'atto, e cioè nello stesso anno 1488; d'altronde si sa che lo stesso pittore,
nel 1490 dipingeva a Savona (San Giovanni).
Il dottor Martini nelle sue « Passeggiate nei dintorni di Taggia », edite nel 1884, dice:
« Oltre a favorire i buoni studi, il Convento era divenuto un centro protettore delle belle arti. Ivi dipinse il famoso Corrado d'Alemagna,
forse lo stesso che il Lanzi nella storia pittorica, chiama, Giusto d'Alemagna, e i due Brea, Ludovico e Francesco, zio e nipote. Più tardi il
Padre Marchese vi aprì una pubblica scuola di pittura. Appartenne a questa scuola il P. Maccari, che guastò, ritoccandolo e sbiadendolo, il quadro
di Corrado d'Alemagna, rappresentante il Crocifisso, S. Pietro Martire e S. Domenico in atto di leggere. »
Il Martini non dice dove abbia ricavato tutte queste notizie; la Guida di Taggia invece, cita le opere dalle quali ebbe ad attingerle: ne riportiamo un brano:
« Consta dall'opera del P. Marchese domenicano, intitolato: "Dei, pittori, scultori ed architetti dell'ordine dei padri di San Domenico",
e dal volume "Materiali storici di Taggia" del fu Canonico Vincenzo Lotti, accurato istoriografo, manoscritto inedito e prezioso,
che all'epoca della fondazione vi fosse chiamato a dipingervi pareti ed icone un Corrado d'Alemagna, pittore insigne, che vi fondasse scuola e
vi avesse a discepolo un padre Domenico Emanuele Maccari da Pigna, e Lodovico Brea da Nizza.
Quale valore abbiano tali notizie non occorre dirlo. Già sappiamo che il prete Emmanuele Maccario non vestì mai l'abito dell'ordine dei domenicani,
né mai ebbe a chiamarsi col nome di Domenico che gli si volle affibbiare. Tutto ciò derivò da grossolani equivoci che il p. Marchese forse avvertì,
ma non corresse per aver motivo di comprendere il Maccari nella sua opera riguardante i padri dell'Ordine di S. Domenico. Del preteso famoso pittore
Corrado d'Alemagna nessun antico autore parla all'infuori del Calvi, ma egli però, non dice a suo riguardo che poche parole, dalle quali non è
possibile ricavare tutte quelle frottole che furono poi raccontate da altri scrittori.
« Eodem anno 1477 valde elaboratum est pro fabrica hujus conventus; nam tunc aedificabantur fornices et testudines supra ecclesiam et ipsa ecclesia
cooperta fuit.
Facta pariter fuerunt pavimenta ex calce ubi necesse erat, et ulterius empti libri multi; et notantur eo anno pro fabrica expositae ultra praefatus
librae quingentae nonaginta novem et solidi quattuor cum denariis undecim.
Eodem met (1477) et seguenti dealbabatur ecclesia, fabricabanturque lapides pro ornatu majori ecclesie super fornicibus chori. Ibi videlicet
annunciatio Dominica et ad latera S. P. Dominicus, S. Petrus martir, S. Vincentius confessor, S. Catharina virgo senensis, B. Matheus Casierius
Mantuanus: et pictor fuit magister Conradus de Alemania, et hoc de mense junii. »
Ecco spiegato l'equivoco che fece attribuire a Corrado il quadro dove si trovano dipinti S. Domenico, S. Pietro martire, S. Catarina da Siena.
Ma gli altri santi dove sono?
Ed ecco spiegate la fantasticherie della pretesa scuola di pittura impiantata a Taggia da Corrado d'Alemagna: la parola magister fornì campo
all'immaginazione dei letterati; mentre si sa che gli antichi dicevano magister anche al fabbro ferraio, al falegname, al muratore!
Ma il brano indicato della Cronaca del Calvi pare si riferisca piuttosto ad affreschi per la volta del coro anziché a quadri, e così l'intese pure l'Alizeri.
Il breve tempo d'un mese impiegato per fare tante figure, et hoc de mense iunii, ci conferma in tal opinione. Se adunque il Corrado si fermò
un mese a Taggia per fare quelle pitture, come si può da ciò derivarne che v'impiantasse una scuola di pittura? E chi potevan mai essere i suoi scolari?
Non certo il Brea perché nel 1475 dipingeva già bene, e benché abbia sempre migliorato nell'arte sua, pure, esaminando ordinatamente le pitture che
ancora si conservan di lui, non vi si può riconoscere l'influenza di un Corrado, del quale d'altronde non si conoscono né i pregi né i difetti!
Se però il Brea in quell'epoca si fosse trovato a Taggia col Corrado, ci sarebbero rimaste delle traccie della sua permanenza, come ci son rimaste
del 1483, del 1488, del 1495, del 1512 e 1513. E neanche si può dire che il Macari fosse scolaro di questo Corrado d'Alemagna, perché nel 1477,
molto probabilmente il Maccari non era ancora nato. Ma infine, se quel Corrado fosse stato un eccellente pittore, i ricchi tabiesi gli avrebbero
ordinato l'esecuzione di qualche ancona o lo avrebbero invitato a ritornare un'altra volta a Taggia; il suo nome ci sarebbe pervenuto anche per altri
mezzi, anziché pel solo breve cenno fatto dal Calvi nella sua Cronaca; i suoi dipinti si sarebbero ovunque conservati con una speciale cura, con un
certo senso di venerazione.
Invece chi ne sa nulla del « famoso Corrado d'Alemagna?! » E dove sono le sue icone? Chi mai le vide quelle famose icone che pur dovevano
aver servito di modello agli allievi della sua Scuola? Possibile che le icone del magister Corradus siano tutte scomparse senza che ne resti
memoria alcuna? Ciò non può darsi, perché i nostri antenati erano molto gelosi conservatori delle antiche opere d'arte, forse più che non lo siamo
noi progressisti dei tempi moderni, che pretendiamo di essere studiosi cultori delle glorie patrie. Di ciò daremo un esempio che appunto si riferisce
a uno dei quadri esistenti nella chiesa di S. Domenico.
Ritorniamo alla guida di Taggia. Dopo avere indicato il bel quadro del Rosario dice:
« Sonvi a lato due altri quadri con figure di santi arieggianti il fare del Masaccio, che sono da attribuirsi alla maniera della precitata
scuola del Corrado. » Ma chi potrà mai conoscere la maniera d'una scuola, della quale, non si conoscono né i lavori del maestro, né i lavori
degli allievi?
La Cronaca del padre Calvi, lo abbiamo già dimostrato, contiene delle inesattezze, ed è ben probabile quindi, che il nome di Corrado d'Alemagna
altro non sia che la conseguenza d'un equivoco.
Nell'opera di Luigi Durante « Chorographie du Comté de Nice » edita nel 1867, vi si trovano dei dati che ci porgono il mezzo di
schiarir l'equivoco che ha forse generato il nome di Corrado d'Alemagna. Alla pagina 123 di quest'opera, si parla di due Cappelle che trovansi nel
paese di La Torre, dedicate, l'una a S. Brigida, l'altra a S. Bernardo.
« Sono ornate di affreschi assai ben conservati. L'originalità delle figure e i bizzarri costumi datano dall'epoca in cui lo stile gotico era
in onore. Sul muro della prima, si legge l'inscrizione seguente: Hoc fecerunt magistri Currandi Buvesi et Guirardi Nadale pictores Niciae et
compatres 27 augusti 1481.
(Si accertò recentemente che in tale iscrizione leggesi Brevesi e non Buvesi e che la data è quella del 1491 e non 1481) Può darsi che questo
pittore Corrado Brevesi sia stato a dipingere nel Convento di Taggia e che il suo nome siasi poi confuso con quello di Giusto d'Alemagna che dipinse
a Genova nel Convento dei Padri Domenicani di S. Maria di Castello nel 1451. Forse in tal modo il nome di Corrado Brevesi potè facilmente convertirsi
in quello di Corrado d'Alemagna, quale appunto ce lo ha tramandato il padre Calvi nella sua Cronaca del Convento di Taggia. Ma il Calvi non dice affatto
che costui fosse un valente o famoso pittore, né che si fermasse molto tempo a Taggia per insegnarvi pittura! Et pictar fuit magister Conradus
de Alemania, et hoc de mense junii. Le altre notizie sono tutte posteriori aggiunte dei letterati, son fantasticherie, fondate su equivoci
creati dalla loro immaginazione, son vere frottole, contrarie talvolta persino al più elementare buon senso!
Eppure a tali ciarle si è data molta importanza, così che il dott. Martini vorrebbe persino confondere Corrado d'Alemagna con Giusto d'Alemagna,
che dipinse a Genova nel 1451 nel Convento dei Domenicani di Santa Maria di Castello. Riportiamo al riguardo quanto si legge nella « Città
Marinara » di Umberto Villa (pubblicata dal giornale « Il successo » nel 1903).
« L'Annunciata di Giusto d'Alemagna... risente è vero, la durezza propria dei quattrocentisti; poiché in tutto il lavoro e specialmente nelle
estremità, si rivela uno stento che quasi impedisce al pittore di dar forza al concetto, ma l'esecuzione, malgrado queste mende, è meravigliosa. »
E qui l'autore descrive l'atteggiamento di Maria e dell'Arcangelo Gabriele. Prosegue poi:
« Il sommo artefice si trattenne qualche tempo in Genova perché vi dipinse altra bell'opera in tavola, migrata in seguito a Parigi. Taluni
dotti lo rividero in altre terre d'Italia e in data non remota da quella da lui segnata sul dipinto di Castello con queste parole:
« Justus de Alamagna pinxit 1451 »
A questo punto il forbito scrittore ci ripete le solite storielle divulgate dai critici-letterati.
Osserva poi lo stesso autore, che la scuola pittorica genovese « ch'ebbe onore da lunga schiera di artefici illustri, in oggi vive negletta,
tenuta in niun conto dai genovesi, i quali al contrario dei fratelli d'altre provincie d'Italia, mai s'occuparono di degnamente illustrarla,
facendone emergere i meriti col radunare le opere in un Museo, dedicato esclusivamente ai dipinti dei loro insigni maestri. »
Ci pare però che l'attuazione di tal disegno riescirebbe troppo difficile, lenta, costosa, mentre pur si potrebbe con prontezza, con facilità,
con rimborso di spesa, compiere un'opera forse più utile; certamente più popolare, di vantaggio più generale ed esteso.
Consisterebbe cioè nel radunare in parecchi volumi, e ordinare adeguatamente tutte le fotografie delle pitture antiche esistenti in Liguria; a queste
riunire le fotografie di quelle pitture di artisti genovesi le quali oggidì si trovano fuori della Liguria, ed unirvene ancora alcune d'altre opere di
quei pittori estranei che pur operarono in Liguna.
Quest'opera pubblicata coi più convenienti metodi di riproduzione, ed arricchita di molte pagine di testo riuscirebbe di certo molto utile
per gli studiosi, e sarebbe anche di molto aggradimento per gli amatori dell'arte e delle antichità.
Confidiamo nel sempre crescente amore che si va sviluppando per gli studi che si riferiscono alle antichità nostre, e facciamo assegnamento
sull'operosità della "Società Ligure di Storia Patria" e sul concorso del Ministero della Pubblica Istruzione, perché sia eseguita ben presto
una tale opera tanto importante.
Un certo E. Schoeffer pubblicò in Nizza delle notizie sui pittori Giovanni Mirallieti e Ludovico Brea, allo scopo di dimostrare che il Mirallieti
fu maestro del Brea. Taluni dotti credettero alle nuove rivelazioni, ma il signor G. Bres di Nizza, in un opuscolo pubblicato in Genova nel 1903,
dimostrò all'evidenza che quelle notizie eran tutte frottole.
Ma chi dunque sarà stato il maestro di Ludovico Brea? Ciò non è finora possibile di sapere in modo certo e sicuro, e bisogna quindi
contentarsi di semplici congetture.
Da un atto del 7 gennaio1 1511, scoperto dal più volte citato G. Bres di Nizza (Brevi notizie inedite di alcuni pitrori nicesi, Nizza 1906), si scorge
che la casa di Ludovico Brea in Nizza, confinava con la casa di un Agostino Durandi, probabilmente parente del pittore Giacomo Durandi. La venuta
del pittore G. Durandi a Taggia nel 1443 ove dipinse le insegne del nuovo governo (e forse anche una Madonna nella chiesa Parrocchiale), è la
probabile sua andata a Badalucco, Montalto, Triora, per dipingervi pure le dette insegne, furono forse conseguenza delle relazioni già esistenti
fra questo pittore e i Brea di Nizza e di Montalto. Certamente la sua andata a Montalto dovè porgere l'occasione di riattivare tali relazioni fra
il Durandi e i Brea.
Nulla adunque di più facile e naturale se dopo circa vent'anni il piccolo Ludovico venne affidato alle cure di Giacomo Durandi, ossia allogato presso
di lui per apprender l'arte della pittura. Morto il maestro verso l'anno 1469 il giovane Ludovico restò forse ancora con Cristoforo Durandi fratello
di quello; ma in seguito, sia per la morte di Cristoforo, sia perché il giovane artista già avesse dimostrato la sua abilità e maestria, ei fu
nel 1475 chiamato a dipingere l'ancona della Pietà, che tuttora conservasi, nella chiesa di Cimella.
Hoc opus fecit fieri condam nobilis Martinus de Rala cujus executor fuit nob, D. Jacobus Galeani MCCCCLXXV die XXV et Luduvicus Brea pinxit.
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